Alessio Ribaudo per www.corriere.it
sigilli dopo il blitz antimafia
Hotel, ville, locali, società, cooperative e aziende agricolo-faunistiche sono finite sotto sequestro, stamattina nel Messinese, nell’ambito di una complessa operazione antimafia.
Un vero e proprio «impero» da 100 milioni di euro è finito al centro del blitz antimafia condotto dalla Polizia e dalla procura di Messina. Il sequestro record è avvenuto grazie al lavoro certosino degli agenti dell’Anticrimine e del Servizio centrale anticrimine e si inserisce in una più ampia strategia di contrasto alla criminalità che è stata tracciata dalla Direzione centrale anticrimine, guidata dal prefetto Francesco Messina, che sfruttando un Regolamento europeo riesce a incidere contro le organizzazioni criminali in modo rapido ed efficace in tutta l’Unione.
santino napoli 2
La strategia
«Il provvedimento odierno è stato emesso — spiegano gli inquirenti — sulla base della normativa antimafia, su proposta congiunta del procuratore della Repubblica, Maurizio de Lucia, e del questore di Messina, Gennaro Capolungo».
Una sinergia fra questura e procura che sta dando risultati contro le mafie in tutta Italia. L’operazione di oggi è iniziata sviluppando il blitz contro il clan di Barcellona Pozzo di Gotto del dicembre 2017 anche dal punto di vista patrimoniale.
giuseppe busacca
Così gli inquirenti hanno messo sotto la lente gli arrestati fra cui Santino Napoli. Un infermiere, oggi in pensione, che era stato anche vicepresidente del consiglio comunale di Milazzo, nel Messinese, e oggi è ai domiciliari.
Lo scorso novembre è stato condannato in Appello a sei anni. Secondo le accuse grazie «al suo pregresso ruolo di pubblico amministratore ha consentito al sodalizio di ottenere l’aggiudicazione di appalti pubblici ad aziende di proprietà dei sodali, nonché individuare le aziende che, assegnatarie di altri lavori pubblici, venivano sistematicamente sottoposte ad estorsione».
giuseppe busacca e santino napoli
Il ruolo dei pentiti
Alcuni collaboratori di giustizia, spiegano gli investigatori, lo hanno indicato come «gestore di alcune attività imprenditoriali nel contesto ricreativo/ristorativo, in realtà riferibili ai “boss”».
Per questo motivo, sono state condotte indagini patrimoniali che sono sfociate nel provvedimento di sequestro, finalizzato alla confisca, formulato insieme dal procuratore e dal questore di Messina.
A inchiodarlo sono state le analisi condotte dalla Divisione anticrimine della Questura e dal Servizio centrale anticrimine, diretta da Giuseppe Linares, parallelamente a una complessa attività di intercettazioni telefoniche e ambientali, perquisizioni e riscontri bancari. Un’attività che ha anche sollevato il velo su raffinatissime strategie per ottenere decine di milioni di euro.
Le aziende sequestrate
questura di messina
Così, proseguono gli inquirenti, è stato possibile arrivare anche a Giuseppe Busacca. Un «noto imprenditore milazzese, attivo da moltissimi anni nel campo della pubblica assistenza e della formazione, titolare di numerose cooperative sociali, agricole e faunistiche nell’area nebroidea, il quale aveva, in realtà, partecipato sin dall’inizio agli investimenti del sodalizio mafioso nel settore del pubblico intrattenimento, giovandosi di erogazioni pubbliche conseguite in maniera fraudolenta».
blitz antimafia
Secondo le accuse, avrebbero costituito un ingente patrimonio grazie anche a un «imponente giro di false fatturazioni per operazioni inesistenti, anche in questo caso gravanti su pubblici contributi derivanti da appalti per lo svolgimento di servizi socio-assistenziali a Messina, Milazzo, Taormina e numerosi altri comuni messinesi, catanesi, sardi e romani».
Un'altra tecnica sarebbe stata quella di utilizzare prestanome a cui erano riconducibili «beni relativi a numerose attività ricreative come discoteche, sale per cerimonie, lounge bar, ristoranti, alberghi, strutture ricettive, cooperative sociali, agricole e faunistiche» ma anche ville e alcuni milioni di euro trasferiti all’estero.
Le sovvenzioni pubbliche
santino napoli 1
I due avrebbero partecipato anche a «super-società di fatto e strutture societarie piramidali destinate a dissimulare l’origine illecita dei capitali ed il loro reimpiego in attività economiche apparentemente lecite, oltre che a dissimulare il circuito illegale del danaro, tramite la creazione di società “cartiere”, ovvero utilizzando i fondi pubblici assegnati alle cooperative sociali nel contesto della formazione professionale e per la gestione di strutture residenziali per anziani alcune delle quali solo apparentemente tali, ma in realtà utilizzate per la gestione di un importante esercizio alberghiero nel comune mamertino collocato in una posizione strategica, e per la realizzazione, con fondi pubblici destinati a lavori di “ristrutturazione” degli edifici adibiti a residenze socio-assistenziali, di immobili di assoluto pregio destinati ad abitazioni familiari, trasporto disabili e studenti, servizi di assistenza domiciliare, case rifugio per minori stranieri, emarginati, disagiati, attività di sportello sociale per famiglie in condizioni disagiate, servizi di segreteria e pulizie per poliambulatori pubblici gestiti dalle Asl locali, oltre che elettricisti ed operai».
POLIZIA
Dalle carte dell’inchiesta emerge che, in 14 anni avrebbero introitato oltre 100 milioni di euro, poi riciclati nella casse societarie o distratti per finalità personali o per creare provviste di denaro occultate in fondi esteri. Così, in tutto oggi sono finite sotto sigilli 16 società.
I fondi per l’agricoltura e la defiscalizzazione
Fra i fondi publici ricevuti c’erano anche quelli riservati al settore agricolo «grazie ad una serie di truffe in danno dell’Agea e ad altre attività continuate di turbata libertà negli incanti per l’aggiudicazione dei terreni agricoli ove sono oggi allocate le cooperative agricolo/faunistiche, destinate alla produzione di suini ed alla macellazione dei prodotti, con marchio Doc sull’intero territorio nazionale».
«Voglio ringraziare il prefetto Messina e il dottor Linares per aver messo fine all’ennesimo accaparramento di fondi pubblici destinati agli agricoltori onesti dei Nebrodi — dice Giuseppe Antoci, già presidente del Parco regionale, vittima di un attentato mafioso —. Grazie alla minuziosa e innovativa tecnica d’indagine dei loro uomini, insieme ai magistrati della procura di Messina, hanno riaffermato la legalità in questo martoriato territorio che, grazie anche agli strumenti forniti dal mio protocollo sta iniziando a trionfare e dare fiducia a chi ogni giorno prova a vivere col sudore della propria fonte e dà lustro ai Nebrodi. Gli stessi, umiliati e impauriti per anni da coloro i quali oggi gli inquirenti hanno fatto accomodare sul banco degli imputati dei maxiprocessi dove sono stati già condannati. Attendo fiducioso anche di vedere come finirà quello che si sta celebrando a Messina».
POLIZIA
Tra le tecniche scoperte dagli investigatori c’era anche «una colossale opera di defiscalizzazione, anche attraverso la creazione di falsi crediti di imposta, utilizzati anche per occultare le imponenti rendite di gestione, e soprattutto la sistematica utilizzazione delle cooperative sociali ed agricole quali vere e proprie società di capitali, pur giovandosi dei regimi di semplificazione fiscale, tributaria e lavoristica alle stesse concesse, allo scopo precipuo di abbattere radicalmente i costi di gestione e la tassazione relativa».
Fallimenti e riciclaggio
Inoltre, la «confusione di capitali e beni che sono transitati tra le società di capitali che gestiscono i locali di pubblico intrattenimento e le cooperative, ha consentito di disvelare imponenti operazioni di riciclaggio, artatamente nascoste nei fallimenti di talune società di capitali rivelatisi operazioni di bancarotta fraudolenta» che poi finivano con lo spostamento di capitali all’estero.
Sarebbero stati ottenuti anche finanziamenti per mezzo milione di euro erogati dallo Stato nel quadro delle misure a sostegno dell’economia per la pandemia da COVID-19. Infine, le attività soggette ad accertamenti antimafia verranno segnalate alle prefetture per valutare anche provvedimenti interdittivi.