ISABELLA SANTACROCE
1. SANTACROCE: «MA IN QUELLA PIRAMIDE C’È ANCHE LA VERA POESIA»
Luca Mastrantonio per il “Corriere della Sera”
Droga, alcol, eccessi. Ma pure musica d’avanguardia, arte internazionale. Il Cocoricò di Riccione è stato, e può essere ancora, anche questo. «Se riaprisse, mi piacerebbe fare il direttore artistico», conclude la conversazione via mail con il Corriere la scrittrice Isabella Santacroce, stella emersa dal buio stroboscopico di quel locale vent’anni fa, con ‘’Fluo’’. Storie di giovani a Riccione . Faceva la barista, divenne una star.
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Del singolo caso del ragazzo morto non parla: «La crisi, non solo economica, è diventato un boato capace di stordire le menti più fragili». Ma degli «adolescenti perduti» di oggi sì, ne ha conosciuti tanti per scrivere Supernova (Mondadori), dove racconta anche di prostituzione minorile: altra piaga che alcuni mettono in conto al Cocoricò.
ISABELLA SANTACROCE
«Il Cocoricò non ha mai offerto nessuna occasione del genere; è offensivo, assurdo definire spettacolo porno la performance della compagnia Fanny & Alexander, se a questa si riferiscono. Un raffinato omaggio a Marina Abramovic».
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Che impressione si è fatta dei «giovani perduti» di oggi?
«Bevono smoderatamente e assumono sostanze in modo incosciente, senza conoscerne le conseguenze. Chi ha responsabilità della loro educazione dovrebbe informarli affinché raggiungano la necessaria consapevolezza. Viviamo in un’epoca di grande incomunicabilità, la famiglia è stata sostituita dai social network».
ISABELLA SANTACROCE
Cos’è per lei il Cocoricò?
«A Riccione esistono due cose davvero belle: il Parco della Resistenza e il Cocoricò. Il Cocoricò ho iniziato a frequentarlo da ragazzina. Studiavo al Dams. A 24 anni ho scritto Fluo , storie di giovani illuminati dai suoi bagliori stroboscopici. Sono diventata amica dell’allora direttore artistico Loris Riccardi, una sorta di moderno Djagilev. Il Cocoricò era il suo Nijinsky. Ho iniziato a collaborare con lui alla progettazione di scenografie suggestive, potenti, poetiche. Il Cocoricò è sempre stato un superclub all’avanguardia, uno dei migliori al mondo. Grandi nomi della musica (non solo dj), dell’arte e del teatro hanno avuto la possibilità di mostrarsi e confrontarsi protetti dalla maestosa piramide trasparente».
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Ha dei ricordi particolari?
«Uno spettacolo grandioso della compagnia teatrale spagnola Fura dels Baus. Poi Arto Lindsay che suona nel privé Morphine, tempio della sperimentazione musicale dalle atmosfere lynchiane. E poi Marion D’amburgo, Aphex Twin, La Societas Raffaello Sanzio, i cori di monaci tibetani, le sculture enormi, l’arte.
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Ricordo nel privé le lezioni di cinematografia con Enrico Ghezzi che indossava una delle maschere originali di Kubrick per Eyes Wide Shut , e poi le conversazioni con Manlio Sgalambro in una delle roulotte che Loris aveva fatto sistemare all’interno del locale, poi si finiva ascoltando Hector Zazou suonare mentre tutto veniva illuminato dall’arrivo dell’alba. Due settimane fa l’artista Principe Maurice suonava Bach e Beethoven per migliaia di ragazzi».
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Un ricordo sgradevole?
«Brutto, ma anche divertente. Quando i Daft Punk sono stati cacciati a fischi dalla console della Piramide, e si sono rifugiati al Morphine. Mi è dispiaciuto non siano stati capiti. Ricordo le loro espressioni, l’umiliazione vissuta, ma anche il genio di farli suonare lì. Dove la gente era abituata ad ascoltare techno, loro hanno aperto il dj set con un remix dance dei Guns’n’Roses».
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Che cosa è cambiato, oggi?
«La musica, ora più tenera, e la gente, ora meno stravagante e appassionata. Anni fa anche solo camminare nei suoi corridoi era un viaggio dentro l’arte, perché incontravi persone talmente eccentriche da divenire opere d’arte. C’era maggiore consapevolezza, individualità, entusiasmo e voglia di esistere in un contesto storico non pessimista e asfissiante. Da qualche anno l’eco della parola crisi, non solo economica, è diventato un boato capace di stordire le menti più fragili, diventate sorde anche al suono della bellezza, e questo non di certo per colpa del Cocoricò. La sua piramide è pura poesia notturna che tanto sarebbe piaciuta a Novalis, peccato che non tutti riescano a leggerla».
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2. “ALCOL E PASTIGLIE, LA FESTA CONTINUA” VIAGGIO TRA GLI ORFANI DEL COCORICÒ - A RICCIONE SULLE NAVETTE PER LE ALTRE DISCOTECHE. CON LO SPACCIO FUORI DAI BAGNI
Davide Lessi per “la Stampa”
«Ehi, ma tu ce l’hai la prevendita?». Stazione di Riccione, ore 00.30. Il primo lunedì senza Cocoricò ha la faccia di Simone, 21 anni, di Arezzo. «Se vuoi ti accompagno a prenderla, costa cinque euro, e poi saliamo insieme nella navetta».
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La navetta è una corriera che parte da qui e porta su, fino alla collina. Destinazione Peter Pan, discoteca a 500 metri in linea d’area dal «Cocco». I ragazzi, nel piazzale buio, lo chiamano così. Ne parlano, senza bisogno di domande. «Chiuderlo quattro mesi è una follia», dice Martina, 18 anni all’anagrafe e coroncina hawaiana a stringerle i capelli. «Certo, ci dispiace per quel ragazzo - dice Filippo - ma se muore una persona al ristorante tolgono la licenza al ristorante tolgono la licenza al gestore?». Provoca, non c’è tempo per rispondere: la corriera è arrivata. Si va.
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Due piani di autobus per quattro chilometri di delirio. Urla, cori da stadio, invettive contro l’autista. Ragazzi pieni. Di vita, d’alcol, chissà. «Bevo, bevo, fino a quando son felice, anche se poi vo-mi-to», intona un bergamasco. E tutti a seguirlo e a passarsi una bottiglia di plastica amarognola. «Havana Cola», dicono. «Ne vuoi?». Dal fondo, intanto, altre grida. Sono di due comitive, una di Bra e l’altra di Cuneo. Avranno sì e no vent’anni, e non vogliono essere da meno. Si diventa subito amici di tutti. Ne resterà una foto su Facebook, forse. Si partecipa a qualcosa che pretende di essere unico. Ma che si ripete ogni sera uguale a se stesso.
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«Siamo arrivati oggi», raccontano due ragazzi di Roma. Hanno già l’agenda piena: «Lunedì il Peter, domani il Villa delle Rose, poi chissà il Pascià o la Baia Imperiale, fuori Riccione», elenca Daniele. Le alternative al Cocoricò non mancano. «La festa va avanti comunque, ma c… ci dispiace, non ci siamo mai stati al Cocco», dice Daniele con l’aria trasognante. T’immagini stia pensando ai racconti di un cugino più vecchio: alle serate con Jovanotti, Valentino Rossi, Roberto D’Agostino. Invece, ha solo paura: «Sai, divento maggiorenne tra 25 giorni, non vorrei mi facessero storie all’ingresso».
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Alla cassa, dopo 45 minuti d’attesa accalcati uno sull’altro, il suo sguardo diventa disteso. «Ho speso 20 euro, non mi hanno dato il braccialetto per bere ma intanto le bibite me le alza il mio amico». Lo ritrovo poco dopo con in mano un Gin tonic. Nel braccialetto verde del suo amico si legge: «Bevi responsabilmente».
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I controlli all’ingresso non mancano. Ma i buttafuori, per legge, possono poco. Nessuna perquisizione, al massimo sequestrano dagli zainetti le bottiglie di vetro mezze finite nel pre-serata. Fuori, ma dentro la bolgia è troppa. «Martina, riprenditi!», urlano delle amiche a una ragazza piegata in due su una scala. «Forse ha preso freddo», dicono. Forse. Ma forse non sono dolori allo stomaco.
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Per capirlo, basta farsi un giro per il bagno. Anche lì c’è la sicurezza, all’ingresso. Dentro, a fare il palo, un ragazzo che aspetta solo un cenno. «Serve qualcosa?». Non vende accendini. E pensi a quello che ha detto Federico, un ventiduenne conosciuto in treno verso Rimini: «Mdma, ecstasy, droghe pesanti e leggere: il problema è che voi accomunate tutto». Studia comunicazione allo Iulm di Milano e, qualche volta, al «Cocco» c’è stato. «Quel povero ragazzo di Città di Castello aveva sciolto una sostanza nell’acqua. L’aveva comprata fuori dalla disco. Era la prima volta e in un locale chiuso gli effetti possono essere devastanti. Puoi perdere totalmente il controllo».
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«E’ tutto così ipocrita», il tassista in viaggio verso Riccione sbotta di colpo. «Con la chiusura del Cocco rischio di perdere anche il 30% degli incassi di una serata», dice. Due minuti e siamo lì davanti. Una scritta, enorme, dietro i cancelli del parcheggio chiusi. «La droga uccide». Già. «Guardi - continua il tassista - anch’io ho una figlia di 21 anni e qui c’è stata. Andavo sempre a prenderla a fine serata e mi chiedo: dove erano i genitori di quel ragazzo? Ho letto che erano persone per bene. Ma dov’erano?».
Grace Jones al Cocoricò. Era l’ottobre 1991
Per capire questa rabbia bisogna entrare nella «galassia Cocoricò». Non sono solo le duecento famiglie rimaste senza lavoro. Non è solo l’indotto degli albergatori. Ma tutto un sistema di affari che va dalla partecipazione all’Aquafan, il parco acquatico fuori dal casello autostradale, al Rimini Calcio di cui il presidente è proprio Fabrizio De Meis, lo stesso della discoteca che ha fatto ricorso al Tar.
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Un business enorme da cui questa città di 35 mila anime non sembra poter prescindere. Per questo si grida all’imbroglio: «Hai presente quando hanno beccato Pantani a Madonna di Campiglio?», dice Fabio Ubaldi. Il consigliere comunale Pd, sconfitto al ballottaggio a sindaco lo scorso anno, spiega: «Tutti sapevano che c’era il doping nel ciclismo. Eppure hanno fermato lui, il nostro ciclista simbolo». Poi lo sguardo torna su, verso la collina e il Cocoricò.
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