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    "LOU REED VOLEVA DISCUTERE DELLA PRODUZIONE DEL NOSTRO PRIMO ALBUM, MA AVEVA OFFERTO UN CONTRATTO DI MERDA" - CHRIS FRANTZ, IL BATTERISTA DEI TALKING HEADS, RACCONTA DELL'INCONTRO TRA LA BAND E IL LEGGENDARIO CANTANTE DEI "VELVET UNDERGROUND" - "CI INVITÒ A CASA SUA E INIZIO A CRITICARCI. POI ANDÒ IN CUCINA E PRESE UN CHILO DI GELATO DAL FRIGORIFERO: “MI SERVE UN CUCCHIAIO”. QUANDO APRÌ IL CASSETTO DELLA CUCINA CE N’ERA SOLO UNO, TUTTO STORTO E ANNERITO. MANGIÒ L’INTERO CHILO CON QUELLO STRANO CUCCHIAIO" - "TRA UN BOCCONE E L’ALTRO, LOU DISSE A DAVID (BYRNE) CHE…"


     
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    Estratto di “Remain in love” di Chris Frantz (Harper Collins), pubblicato dal “Fatto quotidiano”

     

    Nei primi anni del Cbgb (celebre rock club di New York, ndr), Lou Reed era praticamente un habitué. La prima volta che lo vidi lì, scavalcai tavoli e sedie per andare a chiedergli un autografo. Lou, che alle due di mattina indossava occhiali aviator da sole in un locale buio, firmò il pezzo di carta, poi girò i tacchi e se ne andò.

     

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    Ecco perché ci sentimmo letteralmente in soggezione quando comparve nel backstage del Cbgb dopo uno dei nostri primi show e ci invitò a casa sua: penso sia stata una delle poche volte in cui spendemmo denaro per un taxi... Bussammo alla porta e fummo accolti da Rachel Humphreys, la ragazza transgender di Lou, la prima persona transgender che mi presentavano.

     

    Io, Tina (Weymouth, ndr) e David (Byrne, ndr) ci accomodammo sul divano, Lou si sedette a terra. Alternava momenti di dolcezza ad altri di asprezza. “È, come dire, figo che abbiate una ragazza nella band. Mi chiedo come vi sia venuta l’idea” fu la prima cosa che ci disse. Poi proseguì, criticando il nostro set di quella sera e anche quelli di altre band viste di recente, in particolare il Patti Smith Group e i Television... Lou si alzò, andò in cucina e prese un chilo di gelato Häagen-Dazs dal frigorifero: “Mi serve un cucchiaio”.

     

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    Tina si offrì di prendergliene uno e quando aprì il cassetto della cucina si rese conto che ce n’era solo uno, tutto storto e annerito. Lou mangiò l’intero chilo di gelato proprio sotto i nostri occhi con quello strano cucchiaio. Non ci offrì né del gelato né altro. Erano forse le quattro del mattino. Sembrava che si fosse appena svegliato. Tra un boccone e l’altro, Lou disse a David che non avrebbe mai dovuto salire sul palco con una camicia a maniche corte perché aveva le braccia troppo pelose.

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    Doveva sempre indossare camicie a maniche lunghe... Lou parlava e parlava e noi ascoltavamo, a volte in soggezione a volte increduli. A un certo punto si alzò e si diresse alla libreria, che conteneva un solo libro, The Physicians’ Desk Reference. Cominciò a dirci quali erano stati i suoi farmaci preferiti... Poi, dopo averci insegnato un paio di cose sul Dilaudid (un narcotico derivato dalla morfina, ndr), suggerì di andare a mangiare...

     

    Lou era un tipo magro, ma quanto era goloso! Mentre ci salutavamo, insistette per rivederci. Voleva discutere della produzione del nostro primo album e voleva presentarci al suo manager. Naturalmente gli rispondemmo di sì... All’inizio pensammo, wow, Lou Reed si offre di lavorare con noi. Fantastico!

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    Poi ci rendemmo conto che avevamo bisogno di un avvocato che controllasse il contratto... Passai il contratto all’avvocato e riconobbe subito un grosso problema. “Non permetterei mai a uno dei miei clienti di firmarlo. Lou Reed e il suo manager pagherebbero la realizzazione del disco, ma poi ne diventerebbero i proprietari. Nel caso di una hit di successo, ci guadagnerebbero loro e voi non otterreste nulla”. Chiesi se c’era un modo per negoziare l’offerta e lui rispose: “Guarda, la reputazione di Lou Reed al momento è che al mattino quando si alza non sa se prendere l’autobus o l’aereo. Se avesse avuto buone intenzioni, non vi avrebbe mai offerto questo accordo di merda”.

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