Giancarlo Perna per "La Verità"
James Hansen
Ci aspetta in libreria l'antologia delle famose note diplomatiche che James Hansen fa uscire da anni in forma di newsletter e che attirano ogni settimana diecimila lettori. Si intitola proprio così: Nota diplomatica e lo pubblica Biblion edizioni.
Chi legge i giornali o si occupa di comunicazione sa che Hansen è un asso dell'arguzia mista a riflessioni, corroborata dalla statistica, arricchita di curiosità. Ti domandi come faccia a darti ogni venerdì un quadro del mondo in 50 righe che non troverai mai altrove. Poi ti dici che viste le origini, le lingue che sa e la vita eccentrica che ha condotto, lui arriva dove a noi è precluso.
james hansen
Statunitense di Seattle, dove il vento del Pacifico affila i cervelli, Hansen ha prima provato con il teatro, ha deviato sul giornalismo che gli è affine e ha poi messo la testa a posto, entrando in diplomazia.
Come destinazione di esordio, aveva chiesto l'esotico Madagascar, come raccontò in un'intervista a Goffredo Pistelli. Si trovò invece vice console Usa a Napoli, città parimenti adatta agli spiriti avventurosi, specie allora, metà degli anni '70.
James Hansen
Non ha più lasciato l'Italia imparandone la lingua nel modo magnifico che ogni lettore di questo libro gusterà. Prese le misure al Paese che lo ospitava, James divenne inarrestabile. Lasciò l'amministrazione americana e si buttò nelle nostre pubbliche relazioni, diventando di seguito la voce di Olivetti, Fininvest e Telecom di cui diresse gli uffici stampa.
Aprire questo libro, è come togliere il coperchio a una scatola di cioccolatini. Viene subito la gola. Ma vi avverto: va piluccato senza fretta. Sono 153 note diplomatiche, che spaziano dalla storia alla geopolitica, redatte, settimana per settimana, dal 5 gennaio 2018 al 18 dicembre del 2020. Si leggono di un fiato, strappano un sorriso o un'esclamazione di meraviglia e si andrebbe avanti a oltranza.
IL LIBRO Nota diplomatica
Non fatelo. Se vi prendete una pausa, elaborando la lettura, vedrete che ci sono più chiavi, una miniera di notizie e molte nozioni che vale la pena di mandare a memoria. Ne riceverete un' idea più larga del mondo.
Hansen, procede come Lucrezio, lirico latino del I secolo A. C. Come lui, afferra un particolare e ne slarga la veduta ancorandolo a un principio. Ricordate quando nel De rerum natura, il poeta descrive, dopo il sacrifico rituale di un vitellino, l'affanno della giovenca in cerca del figlio perduto, per sottolineare come il dolore degli animali sia pari a quello dell' uomo? James, con più ironia, fa lo stesso.
Prendiamo la nota del 20 ottobre 2020. La intitola «Troppi vecchi» e riflette su un cambio di prospettiva introdotto dal coronavirus. In Svizzera, «paese sicuramente civile», come sottolinea, si è deciso nell'emergenza di togliere alcune cure ai più anziani e malati per salvare i più giovani e sani. Per cui, niente terapie intensive ai vecchi malconci. Eppure, osserva Hansen, gli anziani in passato «erano stimati e protetti, anche per il loro valore sociale come garanti delle tradizioni e portatori di saggezza. Erano loro che comandavano».
Cos'è dunque successo? Che oggi i matusa sono troppi, risponde James. In un mondo invecchiato, il vecchio non è più né raro, né prezioso. È la legge del mercato: l'abbondanza svilisce il valore.
benito mussolini 3
In un'altra nota, l'autore, prende lo spunto da Napoleone, per una carrellata sulla statura dei politici, despoti e no, nel corso dei secoli. Una vera chicca. Al Bonaparte fu attribuita un' altezza inferiore ai suoi effettivi 1,69, che erano nella media del tempo. Forse per una malevola confusione fra francesi e inglesi, gli uni che ragionavano in centimetri, gli altri in pollici.
Era dunque alto come Mussolini, più di Churchill, 1,67, mentre Stalin come Lenin si fermò a 1,65. Franco misurava 1,63 e Benito Juarez, l'ottocentesco presidente messicano, 1,37. Ci sono poi i giganti: De Gaulle, 1,96; Bin Laden, 1,95; lo zar russo, Pietro il Grande, 2,03. Non mancano conclusioni generali: gli alti sono percepiti come più autorevoli, i minuti sarebbero invece più iracondi.
BUSH ALLA CASA BIANCA
Il mio cioccolatino preferito s'intitola «Vendetta Vendetta» e pare a sua volta un rimprovero dell'autore ai suoi concittadini d'oltreoceano ormai incanagliti nell'odio tra democratici e repubblicani.
Quando il pupillo di Bill Clinton, Al Gore, perse le elezioni contro George W. Bush (2000), i clintoniani devastarono la Casa Bianca, prima di lasciarla all'avversario. Scrive James: «Quando i "nuovi" si presentarono, trovarono scritte oscene sui muri, le etichette tolte dai telefoni, le tastiere dei computer con rimossa la W che sarebbe servita per scrivere il nome di George «W» Bush».
DIBATTITO GEORGE W. BUSH VS AL GORE 2000 1
Sparirono i pomelli delle porte, furono spezzate le chiavi nelle serrature, si rovesciarono nei corridoi bidoni di spazzatura e molti lasciarono i propri escrementi negli angoli e sui tappeti. Si spesero 15.000 dollari per il ripristino dai danni. Tutto il mondo è paese, sembra dire Hansen col tono lieve di chi corregge sorridendo.
DIBATTITO GEORGE W. BUSH VS AL GORE 2000 1
Ho già detto di assaporare la lettura. Dirò di più. Fissatevi nella mente i passi salienti. Fateli vostri e, passata la pandemia, col ritorno alla conversazione, ravvivate le serate con i tanti argomenti che Hansen ci ha donati.
Una miniera di aneddoti che i più giovani possono utilizzare per favorire la conquista di una dama come penso abbia fatto anche James sussurrando le sue note diplomatiche a qualche gentile orecchio.
BILL CLINTON bill clinton monica lewinsky