Alessandro Gonzato per "Libero quotidiano"
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Lo «state a casa!» ormai è storia. Fin da subito è stato il mantra di chi - premier, ministri e pseudo scienziati - anziché lavorare per combattere il Covid, ha combattuto per azzerare la vita sociale e cancellare il lavoro. Il virus spadroneggiava e loro giù col tormentone e i relativi hashtag, che all'inizio hanno colorato i balconi e poi sono stati cancellati dagli insulti.
Conte, Lamorgese, Speranza e altri stenui combattenti di terra, del mare e dell'aria hanno ordinato a polizia e carabinieri di interrompere d'imperio i picnic e di inseguire chi correva da solo sulla spiaggia. I droni hanno setacciato terrazze e parchi. Qui sopra, controlli lungo le spiagge e, a fianco, altri controlli in un parco cittadino milanese.
Le disposizioni anti-Covid vietano di fatto il turismo balneare, e costringono comunque anche i residenti a indossare obbligatoriamente la mascherina. Ma sono proprio le statistiche - in particolare lo studio effettuato dall'Health Protection Surveillance Centre, l'ente che monitoria la diffusione del Covid in Irlanda -a dimostrare che il rischio di infettarsi all'aperto è bassissimo «State a casa!».
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Per un po', tramortiti, ci siamo stati senza fiatare. Presto però abbiamo cominciato a chiederci che senso avesse restare murati in casa, se era ed ovviamente è ancora in casa che il virus ha maggior possibilità di riprodursi. Ci hanno vietato lo sport all'aperto concedendoci al massimo di fare «attività motoria nei pressi della propria abitazione». Ai bambini è stato vietato di calciare un pallone. Agli adulti di bere il caffè seduti in piazza.
L'ordine di indossare la mascherina è stato imposto perfino nei boschi. Nessuno tra gli "esperti" asserviti a Roma ha mai presentato uno straccio di documento che attestasse la pericolosità di uscire e continuare a vivere, pur rispettando il distanziamento, e il perché è fin troppo evidente.
All'estero, invece, hanno certificato l'assoluta inutilità di tali provvedimenti con una serie di studi molto dettagliati. L'ultimo è dell'Health Protection Surveillance Centre, l'ente che monitoria la diffusione del Covid in Irlanda. Su 232.164 casi di contagio registrati fino al 24 marzo, è emerso che solo 262 volte il virus ha infettato all'aperto. La percentuale è dello 0,11 per cento, vuol dire una persona su mille. È chiaro che nessuno può conoscere il numero esatto con assoluta certezza, ma il dato è emblematico.
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RISULTATI EVIDENTI L'ente irlandese ha dunque riscontrato appena 20 focolai riconducibili ad "attività sportive e fitness" (131 i casi associati) e 21 nei cantieri edili (124 infezioni). Ed Lavelle, professore di biochimica al Trinity College di Dublino e dal 2013 presidente della Società irlandese di Immunologia, ha affermato che «i risultati convalidano molte delle tesi provenienti dagli Stati Uniti» e «dimostrano che le attività all'aperto sono sicure.
Andare in un bar all'aperto», ha sottolineato, «è molto sicuro. L'aspetto fondamentale è cosa succede dopo queste attività». La collega Orla Hegarty è meno ottimista, e però anche lei sostiene che «all'aperto il rischio di contagio è basso, perché», ha spiegato, «a meno che tu non sia vicino a qualcuno infetto, la maggior parte del virus viene spazzato via dall'aria, come avviene per il fumo della sigaretta». Il governo irlandese, sulla base di tali dati, ha deciso per il ripristino delle attività sportive all'aperto dal 26 aprile.
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L'apertura riguarda anche alcuni luoghi turistici e i locali con spazi esterni. Il ministro del Turismo, Catherine Martin, ha messo a disposizione l'equivalente di 17 milioni di euro per i ristoratori che vogliono ampliare i plateatici. Sennonché, dicevamo, ci sono altri autorevoli studi che dimostrano l'inutilità e la pericolosità di chiudere in casa le persone. L'Università della California, dopo cinque analisi su altrettanti campioni di popolazione, è arrivata alla conclusione che la possibilità di contrarre il Covid in un ambiente chiuso è 19 volte superiore.
ANALISI CONVERGENTI In Cina un altro studio ha evidenziato che su un campione di 1.245 contagi, solo 3 persone, con certezza, si sono infettate per strada conversando senza mascherina. Significa lo 0,24%. Mike Weed, docente della Canterbury Christ Church University (Inghilterra), ha analizzato 27 mila casi parte dei quali provenienti dalla Cina e dal Giappone. La trasmissione del virus all'esterno, ha concluso, «era così marginale da essere scientificamente insignificante». Weed ha sottolineato che i ritrovi all'aperto, «se accompagnati da un'adeguata gestione del rischio», non devono allarmare.
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Da noi invece gli uccellacci del malaugurio nemici della vita continuano a dirci che passeggiare in collina è pericoloso. Dopo un anno gli hashtag sono spariti ma Speranza ci obbliga ancora in casa. La follia, diceva Albert Einstein, sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Speranza non è folle. È drammaticamente incapace.