Pubblichiamo l’intervista rilasciata dalla giornalista Elena Milashina dopo l’aggressione in Cecenia alla radio russa Ekho Moskvy - traduzione Anna Zafesova
Estratto dell’articolo da “La Stampa”
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Buongiorno, come si sente?
«Bene, mi sento bene. Grazie. Davvero grazie».
Può raccontare brevemente la sua storia per chi non la conosce ancora?
«Insieme all'avvocato Aleksandr Nemov abbiamo preso l'aereo per andare a Grozny ad assistere alla sentenza di Zarema Musaeva. Abbiamo chiamato un taxi locale, fatto 500 metri e siamo stati circondati da diverse auto, che ci hanno costretto a uscire fuoristrada. C'erano almeno quattro uomini, tutti con le maschere, t-shirt e pantaloni neri, cappellini da baseball neri. Il resto l'ho visto solo a sprazzi, il tassista è stato buttato fuori, ci hanno piegato la testa, hanno cercato di legarci le mani, hanno iniziato a picchiarci.
Ci hanno trascinati nel fosso e ci hanno picchiati con i bastoni di polipropilene. È un'arma standard per le torture in Cecenia, ne avevo scritto tanto, ma era la prima volta che la sperimentavo sulla mia pelle. La pistola l'hanno utilizzata soltanto per minacciarci, grazie a dio. Tutto è durato 8 minuti».
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Hanno cercato di sbloccare il suo telefono?
«Sì, chiedevano la password. Ho una password molto complessa, mi chiedevano di dire dei numeri, ma io non ho una password numerica. Gli ho fatto una lezione sulla cybersicurezza mentre loro mi martellavano di botte».
[…]
C'è chi dice che Kadyrov non ricava nessun vantaggio dall'accaduto.
«È ovvio che porta svantaggi alla Cecenia perché fa pensare che sia stato il suo leader a dare l'ordine. Il problema è che questi crimini sono irrazionali. Tutti gli attacchi e le minacce che il leader ceceno si permette di fare in pubblico, e ai quali la nostra giustizia purtroppo non reagisce, sono un comportamento emotivo. Dobbiamo partire da qui, non dalla nostra logica "cui prodest".
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È una vendetta. La testa rasata, il disinfettante verde, la mia schiena picchiata con i bastoni: è la punizione orientale per una donna che va contro gli uomini, contro il mondo dei maschi, che urta il loro onore. Ed è la cosa che mi ferisce di più, perché i ceceni, tutto il popolo, possono venire associati a questa bestialità. Perché tutto questo passerà: i capelli ricresceranno, il verde si laverà via. Continuerò ad andare in Cecenia, che Kadyrov lo voglia o no. Non è in discussione.
Non è in discussione dal 7 ottobre 2006, quando è stata uccisa Politkovskaya».
[…]
Perfino molti patrioti con la Z hanno condannato l'aggressione contro di lei, dicendo che per quanto lei sia una separatista non può venire trattata in questo modo.
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«Io non sono una separatista. Io credo che la Cecenia sia parte della Russia e non possa vivere senza la Russia, come la Russia non può vivere senza la Cecenia. Certo, è un rapporto complesso. Credo che il livello della crudeltà dimostrativa, esagerata, abbia suscitato un rifiuto. È importante che la gente abbia ancora la forza di condannare ciò che va condannato».
Anche Kadyrov ha detto "indagheremo".
«Quello non è sostegno, non è compassione. Se si fosse scusato perché nel territorio che governa, pacifico e prospero, che lui vende come la destinazione più bella per il turismo in Russia e nel mondo, è accaduto questo... sarebbe almeno una manifestazione di empatia. Questo "indagheremo" invece... cosa deve indagare»?
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[…] Viviamo in un ambiente aggressivo e io mi sono scelta forse uno dei settori più aggressivi. Non sono stata io a fare questa scelta, l'hanno scelto per me le persone che hanno ucciso Politkovskaya ed Estemirova. Si parte da lì. Resuscitatele e non tornerò mai più in Cecenia. È la condizione imprescindibile per cui continuerò ad andare in Cecenia. Dovranno rassegnarsi, oppure passare a gesti più decisi. Le aggressioni sono molto brutte, sì. Ho avuto paura. Ma non smetteremo di lavorare. Ripeto, ci sono condizioni che non si possono cancellare. Non sono stata io a crearle. Tutto qui».
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