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    CI SONO MESTIERI CHE GLI ITALIANI NON VOGLIONO PIÙ FARE, TIPO AVERE LA FABBRICHETTA A MILANO - SOTTO LA MADONNINA LE AZIENDE STRANIERE HANNO SUPERATO QUELLE NOSTRANE IN DUE SETTORI: CI SONO PROPRIETARI CHE ARRIVANO DALL'ESTERO NEL 52% DELLE SOCIETÀ EDILI MENEGHINE E NEL 63% DI QUELLE CHE SI OCCUPANO DI PULIZIE, MENTRE È IN ARRIVO IL SORPASSO ANCHE NELL'ALIMENTARE E NEL TESSILE - LE ZONE DI PROVENIENZA SONO IL NORD-AFRICA (41%), POI L'EUROPA (31%), L'ASIA (15%) E IL SUD AMERICA (12%)...


     
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    Claudia Osmetti per "Libero Quotidiano"

     

     

     

    duomo di milano duomo di milano

    L'artigianato milanese non parla più italiano. In almeno due settori (l'edilizia e i servizi per le pulizie), tra l'altro due ambiti storici per Milano, ci sono più ditte straniere che lombarde.

     

    A dirlo è l'ultimo rapporto dell'Unione artigiani della Madonnina: «Abbiamo numeri simbolici che segnano la storia, e questo ne è un esempio», commenta Marco Accornero, il segretario della categoria sotto piazza Duomo, sfogliando la cinquantina di pagine che certifica (tabelle alla mano) il sorpasso dei suoi colleghi con un passaporto in tasca.

     

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    In percentuali: il 52% delle aziende edili meneghine è gestito da cittadini che non sono nati in Italia e ben il 63% di quelle che si occupano, a vario titolo, di pulizie e affini idem. Tutto legittimo, per carità, e, tra l'altro, tutto pure previsto, dato che la crescita (esponenziale) degli artigiani stranieri va avanti, inesorabile, dal 2009. E infatti mica è detto che si fermi qui, al contrario.

     

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    La presenza straniera nell'alimentare è al 47%, nel tessile al 43: significa che il raddoppio è dietro l'angolo. «È un fenomeno che parte da lontano», spiega Accornero, «e che oggi non si ferma con le mani». Come a ribadire, oramai è fatta. Milano sarà la capitale economica del Paese, ma non è un caso che proprio qui, in dieci anni, gli imprenditori non italiani sono cresciuti del 70,66%.

     

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    Ovvio, basta uscire un po' dalla città e il discorso cambia: già nell'area metropolitana la presenza di imprese straniere cala e nella vicina Brianza passa dal complessivo 46% milanese al basso 15%.

     

    Però il dato c'è, la direzione è tracciata. Dopodiché ce la possiamo raccontare come vogliamo: che ci sono ambiti in cui gli italiani (pardon, i lombardi) resistono, come le strutture mediche che hanno una presenza di stranieri piccina picciò e ridotta al 2%, o le ditte che lavorano con i motori e che, in nove casi su dieci, restano gestite dagli italiani.

     

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    Ma solo l'anno scorso, quindi in piena pandemia, le imprese individuali degli stranieri sono cresciute del 2%, per un numero sull'unghia di 511 nuove unità. Non son poche.

     

    «Da un lato», fanno sapere dall'Unione artigiani, «questo scenario porta il rammarico per un lavoro, il nostro, che è scelto sempre meno dai connazionali, ma dall'altro testimonia un fenomeno di integrazione che ha ricadute reali».

     

    azienda tessile azienda tessile

    REGOLARI

    Gli stranieri censiti, non è nemmeno il caso di sottolinearlo, sono in regola, pagano le tasse e si confrontano con la burocrazia tricolore esattamente come fanno i colleghi italiani.

     

    Da dove vengono? In massima parte (al 41%) dal Nord-Africa. Poi ci sono gli europei (31%), gli asiatici (15%), i sudamericani (12%) e appena uno su cento degli imprenditori stranieri di Milano è statunitense o canadese.

     

    Nell'edilizia vanno forte gli egiziani, ma anche i marocchini e i tunisini. L'Egitto la fa da padrone, tuttavia, anche nell'alimentare. I cinesi spadroneggiano nella cura della persona e nell'elettronica, i pakistani nelle stamperie.

     

    DUOMO MILANO MUSULMANI DUOMO MILANO MUSULMANI

    Si tratta in stragrande maggioranza di uomini e quando si dice cittadini comunitari bisogna tenere a mente che si parla, per lo più di persone provenienti dall'est europeo: Romania, Albania, Ucraina, Moldavia e Bulgaria.

     

    Un titolare di un'azienda artigiana su cinque, nel milanese, è straniero, mentre tra i dipendenti il rapporto sale addirittura di uno a quattro. Se l'anno del Covid ha aperto, nel complesso, 20.790 posti di lavoro tra Milano e il suo hinterland, Accornero chiosa che «come associazione di categoria, sosteniamo tutti gli artigiani che si rimboccano le maniche e che rispettano le regole con una concorrenza leale».

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