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Arrigo Cipriani, re dell’harry’s Bar di Venezia, contro gli chef. In un’intervista a Repubblica Cipriani ha detto che stanno rovinando la grande cucina italiana. Che il nostro unico modello è la trattoria. Che i ristoranti “stellati e stellatini” spariranno tutti”. Che questi “Menù Degustation” sono insopportabili. Come Antonino Cannavacciuolo: “ha scritto più libri lui di Proust”.
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Sembra un paradosso, in un’era in cui food, cibo e cucina vivono una fase di di visibilità mai vista prima, i cuochi, quelli veri, con la parannanza che riporta i gloriosi vessilli di sfide quotidiane con pentole e fornelli, stanno diventando mosche bianche. Oggi si parla solo di scintillanti “chef”, che ci guardano ammiccanti da dietro gli schermi di TV e smartphone.
Eppure, nonostante quest’invasione di chef, autoproclamatisi o no, c’è qualcuno che è fermamente convinto che “spariranno tutti, stellati e stellatini”.
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L’intervista di Arrigo Cipriani
Questo “qualcuno” è appunto Arrigo Cipriani, figlio del Giuseppe Cipriani che nel 1931 fondò l’Harry’s Bar di Venezia, oggi dichiarato monumento storico del Ministero dei Beni culturali.
Una “stanza”, come la chiama Cipriani, dove nei decenni sono passati i nomi del bel mondo. Da Hemingway, che aveva un tavolo riservato nel solito angolino, usato per scrivere alcune pagine dei suoi romanzi, a Maria Callas, da Humphrey Bogart a Giovanni Agnelli, da Lyz Taylor a Eugenio Montale, oltre a vari gradi di nobiltà internazionale.
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Arrigo Cipriani non è solo titolare di un locale tra i più rinomati al mondo, ma è anche un imprenditore coi fiocchi, con circa 25 ristoranti sparsi in tutto il mondo, e che dà lavoro a circa 3000 persone.
Per questo il suo parere conta. Il suo pensiero non può essere preso come una semplice sparata figlia dell’insofferenza, ormai abbastanza diffusa, verso una categoria di personaggi –gli star-chef– che sembrano aver abdicato alla loro missione originaria. E che si sono trasferiti dal loro palcoscenico naturale –il ristorante– nei vari programmi tivù ricompensati profumatamente in funzione dello share ottenuto.
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E così, tra un “sì chef” e l’altro, un mestiere sparisce. Quello dei cuochi, appunto.
Una deriva che Cipriani ha più volte segnalato – un paio di anni fa al Corriere – e ora a Repubblica: “Per decenni gli italiani in giro per il mondo erano i migliori. Poi, questi “anti-cuochi” si sono rilassati e sdraiati sulla Francia. Ecco, si sono “francesizzati”, tradendo le nostre radici. Ma non può funzionare ancora a lungo: già negli ultimi tre-quattro anni è cambiata. Spariranno tutti, stellati e stellatini”.
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Basta con i menu degustazione
Ma nell’intervista Cipriani rincara la dose indicando anche la via d’uscita, il ritorno alla trattoria, il luogo semplice e familiare dove il cuoco –non lo chef– possiede ancora una dignità e il cui compito è ancora la soddisfazione del cliente, ottenuta grazie alla presenza perenne in cucina e non su un set TV.
“L’Italia è piena di professionisti, ma non andremo da nessuna parte finché non si renderanno tutti conto che il nostro unico, vero modello resta la trattoria –continua Cipriani– e che la nostra forza è l’accoglienza. Basta con questi enormi bicchieri dove fan roteare pericolosamente il vino! E basta con questi insopportabili ‘menu dégustation’! Invece la nostra tavola, la trattoria, è libertà: libertà di scegliere, cosa di cui questi chef non hanno idea.”
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Un ritorno alle origini è, secondo Cipriani, la soluzione verso il narcisismo culinario imperante. Un ritorno a quella trattoria dove non si va per “provare un’esperienza sensoriale”, guidati dai menù degustazione alla stregua di clienti da intruppare lungo un percorso obbligato Ikea. Ma per gustare un buon pasto, trascorrere due ore in compagnia, senza l’ansia di fotografare ogni piatto per poi correre a postarlo su Instagram.
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Certo, occorre precisare che il mestiere di chef comunque esiste – nessuno lo vuole negare e che la promozione della propria immagine su web, tv, eventi e show-cooking ha anche una finalità molto pratica. Mantenere la visibilità o le agognate stellette comporta costi considerevoli per i locali, che spesso non riescono a essere coperti dal solo servizio di ristorazione. Da qui l’inflazione mediatica degli chef, con relativa scomparsa dei cuochi.
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Categoria a favore della quale oggi si levano poche voci. Tra queste spicca quella di Arrigo Cipriani specie quando afferma che “nel mondo noi abbiamo venticinque Cipriani, eppure io non ho chef, ho cuochi”, uno dei quali, per la cronaca, è stato licenziato per aver partecipato a un programma TV invece di stazionare sul luogo di lavoro alias cucina.
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