Federico Rampini per “la Repubblica”
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Le locomotive del mercantilismo globale, Cina e Germania, soffrono due crisi gemelle. Rallenta la crescita della prima, è già sull' orlo di una recessione la seconda. La paura dilaga nel resto del mondo, infligge anche a Wall Street una caduta pesante. Vigilia di Ferragosto in Europa ma non negli Stati Uniti dove i mercati restano aperti oggi, e s'interrogano sulla debolezza dei due "nemici storici". In un certo senso i guai cinesi e tedeschi sono una vittoria di Donald Trump.
XI JINPING DONALD TRUMP
Vittoria di Pirro? Il presidente americano ha preso di mira dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca gli eccessivi avanzi commerciali di Berlino e Pechino. I suoi dazi hanno colpito i reprobi: in misura maggiore il "made in China" rispetto al "made in Germany", ma anche su quest'ultimo pendono minacce di nuove tasse doganali. Il protezionismo americano è una delle cause delle crisi gemelle sino-tedesca. Due superpotenze economiche abituate ad avere un accesso illimitato al mercato americano, si trovano impoverite dalla progressiva chiusura di quello sbocco.
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La Cina ha avuto maggior successo nel dirottare esportazioni verso l'Asia e l'Europa, ma è un gioco in cui altri vengono danneggiati. E comunque la coperta si sta restringendo, la globalizzazione come si era articolata nell'ultimo quarto di secolo è entrata in una fase "glaciale". Le multinazionali - abituate a considerare un mondo senza frontiere e a delocalizzare in base alle convenienze sui costi - stanno rivedendo quelle "catene logistiche intercontinentali" che avevano funzionato per decenni.
Trump è solo colui che ha dato la spallata decisiva a un sistema già pericolante. Per gli otto anni del suo mandato Barack Obama aveva denunciato a più riprese i danni del mercantilismo tedesco e cinese. Grandi nazioni che esportano sistematicamente molto più di quanto comprano dagli altri, esercitano un effetto depressivo sulla crescita mondiale: è l'abc dell'economia.
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La Cina almeno in parte si sta ravvedendo: anche se il suo avanzo con gli Stati Uniti resta colossale, le sue importazioni da altre parti del mondo sono in aumento costante. La Germania resta la campionessa del mercantilismo e così facendo frena tutta l'Europa. Ma i suoi vizi le si ritorcono contro.
In una fase in cui i mercati altrui si rattrappiscono, Berlino avrebbe bisogno di stimolare la sua domanda interna, consumi privati e investimenti pubblici. I Verdi tedeschi premono su Angela Merkel perché aggiri le rigidità di bilancio e lanci una sorta di Green New Deal, un grande piano d' investimenti ambientalisti sullo stile di quello dibattuto dalla sinistra Usa.
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Purtroppo finora la Merkel è sorda a quegli appelli e l'economia tedesca continua a scivolare verso la recessione, trascinando con sé il resto d' Europa. Trump si sta accorgendo che a volte vincere è pericoloso. L'opinione pubblica americana è con lui, sul tema dei rapporti con la Cina. Una recente indagine del Pew Research Center indica che il 60% degli americani oggi ha un'opinione negativa della Cina, contro il 47% nel 2018.
Anche la base del partito democratico si è convinta che la mancanza di reciprocità e le regole asimmetriche del commercio internazionale danneggiano l'America; molti candidati alla nomination democratica ormai scavalcano Trump nel protezionismo. Lui però ha scelto proprio questa fase per annunciare un'improvvisa tregua. Rinviando molti dazi aggiuntivi a dicembre, su prodotti di largo consumo come smartphone computer e giocattoli "made in China", Trump tradisce il timore che il conto per i consumatori americani sia salato. Inoltre dalla Federal Reserve, la sua banca centrale, gli arrivano notizie preoccupanti sullo scenario economico da qui all' elezione del 3 novembre 2020.