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(LaPresse) Lo scorso 3 dicembre l'ultima apparizione pubblica di Sinisa Mihajlovic, in occasione della presentazione del libro di Zeman, «La bellezza non ha prezzo» (Rizzoli). Un abbraccio commosso quello tra il boemo e l'allenatore serbo, rivale e avversario in campo ma amico fuori dal terreno di gioco.
Mihajlovic è morto a 53 anni il 16 dicembre a causa della leucemia, contro cui ha lottato per tre anni; voleva sapere tutto da medici e infermieri: tre ricoveri e tre cicli di chemio, un trapianto, il ritorno in panchina a tempi record per la prima col Verona, gli occhi infossati, i chili persi, un altro sorriso dell’amatissima moglie Arianna. Ma la battaglia non è stata vinta.
MIHAJLOVIC
SINISA MIHAJLOVIC
«Abbiamo combattuto con lui, sempre al suo fianco, una lunga e dura battaglia». Il Policlinico Sant'Orsola di Bologna, dove Sinisa Mihajlovic è stato curato da quando gli è stata diagnosticata la leucemia mieloide acuta, ricorda così il campione dal cuore d’oro. L’ospedale rivolge «alla famiglia il più sentito cordoglio da parte di tutta la comunità del Sant'Orsola di cui Sinisa era entrato a fare parte». E aggiunge: «La consapevolezza che la malattia non sempre si può sconfiggere, nonostante le cure avanzate e l'impegno imponente, non attenua certo il profondo dolore per la sua scomparsa».
La malattia gli era stata diagnosticata l’11 luglio 2019. Era stato lui stesso con coraggio ad annunciarla in una conferenza stampa. Da allora per Sinisa era iniziata la partita più difficile, combattuta guardandola sempre in faccia e continuando a lavorare, in campo e da remoto.
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Ma la leucemia mieloide acuta, un tumore del sangue che si sviluppa nel midollo osseo, nel sistema linfatico e in altri tessuti, non gli ha lasciato scampo. È una malattia che generalmente progredisce molto velocemente, più comune negli uomini che nelle donne, che ccolpisce soprattutto dopo i 60 anni.
Sono stati tre anni di sofferenza, di speranza, di ricadute che Sinisa ha affrontato come «un guerriero fino alla fine», ha ricordato Francesca Bonifazi, il suo medico: «Ha avuto il coraggio di affrontare la vita che amava sopra ogni cosa, nonostante una malattia che non conosceva. Si è affidato ai medici e ha avuto il coraggio di lottare».
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Per la dottoressa Sinisa è stato «un esempio anche per gli altri pazienti», per chi soffre o ha sofferto per la stessa malattia. «Ha dato molto coraggio anche agli altri pazienti - ha spiegato -, che hanno provato un senso di comunanza nel vedere come ha affrontato la malattia e anche la recidiva».
L’ex calciatore, è la conclusione della dottoressa, «era una persona con valori molto profondi. Non ha amato solo il calcio, che è stato il suo brodo primordiale, ma anche la sua famiglia che lo ha sempre sostenuto in modo coerente e costante».
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