Estratto dell’articolo di Francesco Battistini per il “Corriere della Sera”
TERREMOTO IN MAROCCO
[…] Sono bastati trenta secondi di 6.8 gradi Richter, a Fatima Aboualchovak, per buttare via trent’anni di vita. Fatima stava ridendo, prima. Dopo, l’hanno incontrata come un’ombra di notte. La gellaba sporca, i capelli sfatti, una mano graffiata e il sangue rappreso. Camminava fra i muri crepati della medina, i massi d’un fondaco crollato. Intorno, la polvere s’impastava coi lamenti dei muezzin, le sirene della Mezzaluna rossa si mescolavano alle grida, alle ruspe, ai megafoni. […]
Quand’è venuto giù il Marocco, alle undici e undici, Ashraf dormiva nella sua camera dalle volte alte. Fatima era nel cortile, sotto le stelle, e la terra s’è messa a ondulare e la casa le è crollata di fronte. Non c’è stato il tempo per niente. Il nipotino è rimasto là sotto. Aveva 4 anni e mille coccole, nella sua piccola vita. Ma se Dio decide di prendersi un bambino, dicono i vecchi chibani dai capelli bianchi, una madre può solo piangere. E zia Fatima, perdersi muta nel buio di Marrakech.
TERREMOTO IN MAROCCO
Come nel 1960 Marracrash. Ai vecchi, la grande scossa ricorda subito il 1960. La catastrofe che spazzò via Agadir. Questa non è stata così forte, meno anche della Turchia di febbraio, però ha colpito esteso (400 km di diametro) e in profondità (11 km sottoterra) e s’è sentita in Mauritania, in Andalusia e fino a Lisbona.
L’hanno avvertita bene anche i vicini algerini, gli eterni nemici, tanto potente da spingerli ad aprire il loro spazio aereo ai voli umanitari, a offrire aiuto al «fraterno popolo marocchino», a dimenticare per un attimo la guerra per il Polisario e le frontiere chiuse dal ’94, le relazioni diplomatiche interrotte dal 2021. Marracash, anche: serviranno molti dirham, per aggiustare la regione di Al Haouz.
TERREMOTO IN MAROCCO
Dal mondo arrivano offerte, s’è messa in moto la diplomazia delle catastrofi e qualche proposta è più pressante di altre: l’israeliano Netanyahu non dimentica che il Marocco è partner nella Pace di Abramo col Golfo, il russo Putin che quest’Africa sopra il Sahara gl’interessa molto, il turco Erdogan che il suo neo-ottomanesimo sogna di spingersi fin qui.
Il re e i soccorsi Re Mohammed VI, detto M6, s’è messo al comando dei soccorsi e probabilmente dirotterà sulle prime emergenze il miliardo di dollari stanziato per fronteggiare la peggiore siccità della storia. «Acqua, portate dell’acqua!», urlano nei vicoli stretti della kasbah, dove le autopompe faticano a entrare.
[…] L’ospedale è stracolmo, ci si mette in fila per donare sangue e ad Agadir lo fa anche la nazionale di calcio. Fra le case accartocciate si scava con le mani, i soccorsi vogliono rimettere in piedi la città vetrina: sabato mattina il mercato della più famosa piazza d’Africa è già riaperto, ma i banchetti di Jemaa el Fna non s’illudono, mentre le salme vengono adagiate per terra dove c’è posto, avvolte nei tessuti colorati che di solito s’espongono per i turisti.
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La moschea Koutouba è subito da transennare perché dal «tetto di Marrakech», il minareto, cadono pezzi grossi. Macerie vicino al Café de France. I dieci km di mura antiche, non si sa quanto siano sane e vengono ispezionate. Anche quelli del giardino blu d’Yves Saint-Laurent, il museo all’aperto, giurano che resteranno aperti com’è da sei anni.
[…]
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I villaggi dell’Atlante Deserto giallo. Il disastro grosso è altrove. Appena esci dalle vie del turismo. Nei villaggetti amazigh sperduti e isolati sotto l’Atlante, dove i berberi piangono corpi che non possono disseppellire e s’arrabbiano per i soccorsi, che non arrivano. Le case sono costruite sul dorso del monte, i muri a pisé, paglia e fango e sassi: molti paesini sono polverizzati.
Il sito governativo che aggiorna il bilancio — oltre duemila morti, e duemila feriti — qui neanche lo leggono: non esiste internet, i telefoni vanno malissimo, lo Stato va anche peggio. Gole chiuse, sentieri bloccati. Una famiglia d’italiani stava in un alberghetto fra le montagne, ma ha dovuto mollare la macchina e incamminarsi, con due sole bottiglie d’acqua e un po’ d’ottimismo, sulla strada d’Agadir.
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I racconti di chi c’era: «Ho pensato di morire in solitudine» (Gannou Najem, 80 anni, turista); «dormivo e ho sentito un boato, ho pensato fosse precipitato un aereo» (Omar Colley, calciatore, ex Sampdoria); «mi sono venute in mente le bombe» (Hafida Sahraovia, 50 anni). «Sono stati solo pochi secondi e mi sono sembrati un’eternità», racconta il vescovo di Rabat, Lopez Romero. Lui sta a 300 chilometri dall’epicentro. Ed è rimasto sveglio, nella notte più lunga di tutto il Marocco.
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