DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Marco Giusti per Dagospia
Oh! Finalmente una bella polemica. Magari può anche funzionare per mandare qualche spettatore in più a vedere “Enea” di Pietro Castellitto. Christian Raimo lo massacra sui social, in maniera violenta, e assolutamente non ironica, chiudendosi in un “istinto polpottiano” di odio primordiale per il protagonista (“mi guardava con la faccia da cazzo dallo schermo”), augurandogli quindi “una strage il prima possibile”. Perché tutto questo risentimento?
Primo perché è un film “senza senso”, girato senza che nessuno, riferendosi presumo ai due produttori, Lorenzo Mieli e Luca Guadagnino, abbia fermato il regista, ma anche sceneggiatore e interprete, impedendogli di fare quello che ha fatto. Secondo perché è un film fatto dalla borghesia sulla borghesia che osa mettere in scena “la rabbia della borghesia, analfabeta, inutilmente disperata, senza talento, nietzschiana solo se sotto botta, che non ha letteralmente un cazzo da dire”, una rabbia che scatena a sua volta la rabbia di classe, consapevole, bourdeuiana contro la violenza simbolica che ogni set rappresentava” dello stesso Raimo.
Quindi una rabbia predatrice che ruba la giusta rabbia ai tanti Raimo spettatori da sempre arrabbiati. Terzo un dispetto alle, leggo, “centinaia di persone che hanno storie incredibili da raccontare, che sanno girare in modo cento volte più significativo”. Mah… A parte il fatto che, da tempo in Italia, nessuno ferma più nessuno impedendogli di fare film senza senso (magari lo facessero…).
A parte il fatto che non vedo questi cento registi che hanno storie più significative da raccontare. Purtroppo al cinema ci vado, e vedo soprattutto registi che non hanno un cazzo da dire. A parte il fatto che la rabbia della borghesia contro la borghesia non l’hanno inventata né Castellitto né Raimo, vorrei ricordare che Pietro Castellitto arriva al suo secondo film da un successo di tutto rispetto.
Cioè “I predatori”, già bollato da qualcuno come fascio-nietzschiano, ma questo Raimo non lo dice, vincitore di due premi importanti a Venezia nel 2021, cioè opera prima e sceneggiatura nella sezione Orizzonti, con premio voluto dalla presidente Claire Denis (regista di tutto rispetto, lo dovrebbe sapere Raimo).
Il suo secondo film, al di là del valore, era in partenza un’opera molto attesa e da vedere con attenzione. E non a caso aveva due produttori forti e un posto addirittura nel concorso della Venezia dello scorso settembre assieme ai film di Garrone-De Angelis-Diritti-Sollima. Pensavamo che sviluppasse il discorso sulla nuova destra della Roma borghese, quasi post-meloniana, ma non lo fa. Almeno apertamente. E infatti Raimo non lo accusa di questo. Anche se un bel po’ della sua scarsa simpatia per film e regista, tutta questa rabbia, sembrano meccanismi proprio da antipatia politica.
Ora. Il film può avere dei problemi, ma non mi sembra né la schifezza che descrive Raimo né l’orrore senza senso che gli permetta un attacco personale così violento. Ma perché? Soprattutto non puoi tirarmi fuori la storia del quanto costa. Visto che si discute su come gira, su che personaggi tratta e su cosa racconta. La bandiera dei soldi è uno spauracchio ipocrita da giornale di destra. Raimo, invece, non indaga l’aspetto che mi sembrava interessante già ne “I predatori”.
Cioè quello della commedia post vanziniana o post-risiana alle prese con la nuova destra, quella popolare e armata da Acca Larentia, che qui scompare, e quella borghese di Roma Nord di ultima generazione. Quella dei trentenni, che qui sviluppa e che è, forse, di destra solo perché non è dichiaratamente di sinistra o antifascista. Già il personaggio di Pietro Castellitto studioso di Nietzsche, ragazzo borghese bombarolo e senza pietà, poteva far parte di una nuova destra intellettuale, da Buttafuoco in giù (o in su), diciamo, ma forse lo era solo perché non riconducibile al modello del figlio di papà zecca e fancazzista ben diverso dai personaggi tipici dei figli di Virzì-Archibugi&co.
Ma proprio il fatto che non fosse lo stereotipo del figlio borghese di sinistra o del post-mucciniano o del pariolino tardo-vanziniano, mi sembrava qualcosa almeno di totalmente nuovo. La critica di Raimo all’Enea di Castellitto, personaggio e film, mi sembra, insomma, un rifiuto a pelle perfino di accettare la nascita di una commedia borghese diversa da quella che abbiamo fin troppo conosciuto il secolo scorso. Una commedia di trentenni per trentenni che forse non conosciamo. Da questo a aver “voglia di stare coi sicari”, però…
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