ROBERTO CINGOLANI
Giusy Franzese per “il Messaggero”
Finora era un'ipotesi. Probabile, ma forse anche no. Sentirlo quindi pronunciare da un ministro del governo Draghi con tanto di verbo coniugato al presente, è quasi uno shock: «Siamo in un'economia di guerra: questo ormai va detto chiaramente». Dopo aver lanciato allert già piuttosto preoccupanti anche in sedi istituzionali, stavolta Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, non usa più giri di parole: «Siamo in un'economia di guerra.
GASDOTTI RUSSI
Alcuni paesi saranno molto colpiti da questa crisi energetica, più di altri, alcuni meno di altri». Cingolani non fa l'elenco ma è evidente che l'Italia - vista la nostra dipendenza dalle fonti energetiche estere, a partire dal gas russo - rientra nella prima categoria, quella di chi subirà più danni. E subito alla mente di chi ascolta affiorano altre parole: razionamenti, austerity, auto ferme in garage, fabbriche che producono a giorni alterni, e quindi sacrifici, disoccupati e chissà quanto altro ancora.
La vigorosa ripresa mondiale dopo i lockdown dovuti alla pandemia già stava creando pressioni sulle fonti energetiche e le materie prime facendo schizzare i prezzi. La guerra in Ucraina e la decisione (giusta) di ridurre in modo sensibile fino ad azzerare la dipendenza dalle forniture russe, ha fatto il resto.
GAS ITALIA
LE SCELTE SBAGLIATE
L'Italia purtroppo si è fatta trovare impreparata. Colpa delle scelte sbagliate del passato, decisamente poco pragmatiche. Cingolani - che di certo non può essere accusato di non stare dalla parte dello sviluppo sostenibile - lo riconosce: «Nel 2001 il 25% del gas era prodotto in Italia, nel 2021 siamo arrivati al 3%. Abbiamo ridotto la produzione, ma non è servito a nulla: l'abbiamo sostituito con il gas importato. Non solo non abbiamo decarbonizzato nulla, ma abbiamo avuto un impatto maggiore sull'ambiente per il trasporto, abbiamo finanziato altri Paesi e abbiamo indebolito le imprese».
E adesso?
gazprom
Adesso sono guai. O meglio: potrebbero essere guai se il flusso di gas proveniente dalla Russia dovesse essere tutto ad un tratto interrotto. Un'eventualità che potrebbe anche prescindere dalle decisioni di Bruxelles ed essere scatenata direttamente da Putin.
Forse non lo farà, non gli conviene, ma in questa guerra lo zar del Cremlino ha già dato ampia dimostrazione di ragionare con schemi imprevedibili e comunque molto diversi da quelli occidentali. Quindi meglio essere realisti.
GAS ITALIA
E la realtà - il ministro Cingolani la descrive con precisione - è che tutto dipenderà da quello che accadrà dopo l'estate. «I punti fondamentali sono i prossimi 6-8 mesi. Dovesse esserci uno stop di fornitura russa ora, in tempi brevi, sarebbe un problema per il prossimo inverno». Perché - spiega - arriveremmo «all'inverno con gli stoccaggi vuoti».
GLI STOCCAGGI
Non che i tour energetici del governo di questi ultimi mesi a caccia di nuovi fornitori non siano serviti a niente. Anzi. «Abbiamo garantito 25 miliardi di metri cubi di gas» ricorda Cingolani intervenendo al Festival Città Impresa a Vicenza. Però c'è un ma: «Ci vorrà un po' per far partire queste forniture. Dal 2024 in poi si raggiungerà il valore di regime».
ROBERTO CINGOLANI
E il gas liquido promesso dagli Usa? Oltre al fatto che costa di più del gas che attualmente importiamo dalla Russia, il problema vero è che senza l'entrata in funzione di nuovi rigassificatori le forniture non potranno aumentare più di tanto. Per fare il prima possibile il governo ha pensato all'acquisto di rigassificatori galleggianti, da posizionare in mare.
Dove? La scelta ancora non c'è. Sul tavolo ci sono due opzioni: la parte nord del Tirreno o dell'Adriatico. «L'area di Piombino e quella di Ravenna sono entrambe scelte eleggibili» dice Cingolani. «Il nostro obiettivo è da inizio del 2023 piazzare il primo grosso rigassificatore, nel posto che ci consentirà di fare prima, sono solamente questioni tecniche» spiega. Intanto l'attenzione è puntata sulle scorte di gas.
ITALIA E IL GAS - I FORNITORI
«Stiamo riempendo gli stoccaggi, l'obiettivo è arrivare al 90% per l'inverno 22-23, questo il punto principale» argomenta Cingolani. Che non sarà facile il ministro lo sa bene. Basti pensare che secondo le ultime rilevazioni il riempimento degli stoccaggi italiani è al 39% della capacità di riserva complessiva pari a 17 miliardi di metri cubi. Nel 2021 il livello di stoccaggio alla stessa data era all'incirca del 44%.
Riusciremo ad arrivare al 90% di stoccaggio, soglia che - secondo quanto riferito da Cingolani - ci metterebbe al riparo da un freddo e difficile inverno? Non è facile prevederlo, anche perché il ritmo del riempimento varia da giorno a giorno: ad esempio - nella giornata del 6 maggio - a fronte di 248,5 milioni metri cubi immessi, ne sono stati usati 158 e stoccati 88,4. Ovvero il 35%. Non è poco, certo. Ma è ovvio che la quota di gas messa a riserva dovrebbe iniziare a marciare con ritmi più sostenuti.