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Elena Dusi per "la Repubblica"
Le ondate passano, il Long Covid resta. Una persona su tre, fra quelle che sono state ricoverate, ha sintomi dopo un anno. Stanchezza o respiro corto, mal di pancia o aritmia, perdita dell'olfatto o depressione: il bilancio quotidiano degli infettati e dei guariti non tiene conto della scia di problemi che la pandemia lascia in eredità.
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«Abbiamo contato le prestazioni sanitarie erogate dalla Regione Lombardia a 50mila guariti tra marzo e dicembre 2020. Anche dopo il tampone negativo ci sono stati più accessi al pronto soccorso rispetto al periodo precedente alla malattia. Abbiamo visto anche un aumento di test diagnostici, di visite specialistiche e presso i medici di famiglia. I problemi più frequenti riguardavano polmoni, cuore e reni» spiega Pier Mannuccio Mannucci, ematologo dell'università di Milano, che ha studiato i dati (in via di pubblicazione) con l'Istituto Mario Negri.
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Il Covid, insomma, manterrà un impatto sulla sanità anche quando il virus avrà, si spera, ripiegato. Se ne stanno accorgendo un po' tutti i Paesi del mondo. Negli Stati Uniti il presidente Joe Biden ha chiesto il riconoscimento legale della malattia. Il Congresso ha stanziato un miliardo di dollari per capire le basi mediche di una sindrome che ha ancora contorni poco chiari. La Gran Bretagna ha varato 15 studi, finanziandoli con 20 milioni di sterline.
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Secondo l'università di Oxford, il 37% degli ex ricoverati ha almeno un sintomo di lungo periodo. Nelle persone colpite da forme lievi la sindrome è meno frequente, ma non sconosciuta. In Italia, con 11 milioni di contagi, a soffrire di Long Covid sarebbero 3-4 milioni di persone. La Finlandia si aspetta che diventi una delle principali malattie croniche del Paese. E la Società italiana di pediatria (Sip) ieri ha invitato i genitori a far visitare i bambini guariti sia 4 settimane che 3 mesi dopo la fase acuta.
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«La diffusione del Long Covid tra bambini e adolescenti non è determinata, varia dal 4% al 60% a seconda degli studi. Negli Usa sono stati diagnosticati 6 milioni di casi in età pediatrica» spiega la presidente della Sip Annamaria Staiano. Gli aspetti da studiare, per gli esperti, sono molti. I vaccini ad esempio riducono anche i sintomi del Long Covid? È plausibile, ma non c'è ancora una risposta. I problemi cognitivi e i disturbi della memoria dipendono - come suggerito da alcuni studi - dai microscopici coaguli di sangue che ostacolano la circolazione nel cervello? E il fatto che le donne siano più colpite dipende dalla natura autoimmune del disturbo? Si sa infatti che il genere femminile soffre di più di questi problemi.
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«La sensazione è che con i vaccini e con forme meno severe della malattia anche i sintomi di lungo periodo si siano attenuati» suggerisce Mattia Bellan, che insegna Medicina interna all'università del Piemonte Orientale e ha pubblicato con i colleghi uno studio su Scientific Reports. E speriamo che abbia davvero ragione, visto che quando è andato a cercare i pazienti dimessi dal suo ospedale a Novara dopo la prima ondata, Bellan ha trovato che ben il 5% era deceduto nei 4 mesi successivi, nonostante la diagnosi di guarigione.
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«Dopo un anno - prosegue il medico - abbiamo visto che il 50% degli ex ricoverati aveva una compromissione lieve o moderata della respirazione. Per un altro 10% la compromissione era grave, e non era migliorata nel tempo». Francesco Benedetti, psichiatra del San Raffaele di Milano, ha studiato gli strascichi della malattia sul cervello. «In un terzo degli ex ricoverati osserviamo una depressione vera e propria, accompagnata da difficoltà delle attività cognitive superiori ».
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Quindi, spiega il docente, «difficoltà nel pianificare le attività quotidiane, rallentamento, affaticamento, perdita delle capacità motorie fini, senso di estraneità dal proprio corpo, soprattutto dai 50 anni in su». La causa, secondo Benedetti, sta nella «potentissima infiammazione scatenata dall'infezione. Sappiamo da tempo che le infiammazioni causano un calo di serotonina nel cervello». La buona notizia è che «la depressione da Covid è curabile».
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Quella cattiva, secondo Benedetti, è che «non noto miglioramenti oggi rispetto alla prima ondata». Anche la perdita dell'olfatto, si sta rivelando un problema di lunga portata. «Tra le persone colpite, il 36% non ha recuperato dopo un anno. La perdita del gusto è ancora al 27%» spiega un team dell'università di Trieste in uno studio di novembre.
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«Le conseguenze su vita sociale e qualità dell'alimentazione possono essere gravi». Con il tempo, il sintomo sembra gradualmente recedere. Ma non chiamatele ancora guarite. Per le vittime del Long Covid, la pandemia non finirà con l'ultima ondata.
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