nadal
Articolo di Gianni Clerici per “la Repubblica” del 26 giugno 2003. Clerici raccontò così l'incontro con Nadal
Parliamo tutti inglese, of course . Non tanto perché l'inglese sia il latino di questi nostri tempi, ma perché è la lingua del tennis. Così, come ne arriva uno che parla qualcos' altro, viene guardato non dico con sospetto, ma con viva perplessità. I casi sono tanto rari, che alla fine il simil-analfabeta diventa oggetto della generale compassione, aiutato in tutto, dalle interviste a qualche scupettino.
Questo per gli addetti. Quanto ai tennisti, il caso non è meno raro. E riguarda per solito qualche doppista azerbaigiano, o un qualificato andino. Così, oggi siamo rimasti increduli nell'accedere ad una sala stampa nella quale l'oggetto della nostra curiosità si esprimeva non si dice in castigliano, e neanche in catalano, ma in un gergo meno comprensibile, che - mi dicono gli amici spagnoli - si chiama maiorchino.
Il sedicenne ragazzo che ci aveva mezzo ipnotizzati viene infatti dall'isola di Maiorca, un posto fin qui noto per gli amori di Chopin e George Sand, e per aver ospitato una raffinata colonia inglese, nella quale primeggiava il poeta Robert Graves: non certo per i tennisti.
gianni clerici
A Maiorca, in un tempo non lontano, è nato però un bellissimo ragazzo, che in altri tempi sarebbe stato bagnino. La presenza di un club tennistico diretto dallo ex Davisman Alberto Tous avrebbe facilitato l'affermazione del giovanotto, a nome Carlos Moya. Per specializzarsi, Carlos sarebbe dovuto salire su un ferry boat, e trasferirsi a Barcellona, la Mecca del tennis iberico.
Nei periodi di vacanza a casa era costretto a portarsi dietro un allenatore e, un giorno che questi era influenzato, prestò la sua racchetta a un ragazzino, già bravissimo nel gioco del pallone, perché suo zio Miguel Angel aveva giocato nella nazionale spagnola. Il ragazzino, Rafael, è lo stesso che abbiamo ascoltato affermare di non essere poi tanto sorpreso di aver passato due turni a Wimbledon, battendovi oggi un certo Childs, e l'altro ieri Ancic, l'erede di Ivanisevic, figurarsi.
Questo tipetto dal viso paffuto, non dissimile da Charlie Brown, ha avuto in sorte un braccio mancino col quale avrebbe potuto gestire irresistibili affondo, centrare un canestro da tre, mettere ko un peso massimo. Per la nostra fortuna di aficionados, ha trovato sul suo percorso una racchetta, e un campione come Moya, bisognoso di allenarsi. E tanto bene lo ha allenato, che alla prima occasione, ad Amburgo, ne è stato battuto. Rimaneva il dubbio che questo piccolo arrotino potesse smarrirsi, trasportato sui prati dalle native spiagge.
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Ma, con qualche ragionevole riluttanza nei riguardi della rete, il piccolo non solo allenta liftoni, ma, alla prima necessità, stacca la manina bruna dalla presa bimane, e perpetra taglietti avvelenati quasi fosse nato sulle rive del Tamigi. Di questo fenomeno ha raccontato un aneddoto interessante Cash al mio amico Cazzaniga: «Dovevo giocare una esibizione a Maiorca con Becker.
Mezz' ora prima della partita, Boris si nega, per una bua. Giocherai con un ragazzino quattordicenne, l'unico tennista disponibile, mi dicono. Vado in campo preoccupato di fargli fare qualche game, perché magari non mi si metta a piangere. Perdo facile, in due set, e solo allora gli domando come si chiami: Rafael Nadal». Rafael si troverà, ora, di fronte ad un esame non facile. Paradorn Shrichapan, nato sui prati thai, capace di rimontare oggi un handicap di due set al francese Mutis.
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