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    CLIC! PERCHE' UNA FOTO DI LACHAPELLE VALE PIU’ DI MILLE JOBS ACT DI RENZI - LE CIMINIERE DELL' ARTISTA USA, I PISTONI DI BERENGO GARDIN, I VOLTI OPERAI DI GONNORD: LA BIENNALE DELLA FOTO INDUSTRIALE CELEBRA LE MILLE FACCE DEL LAVORO


     
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    Francesco Specchia per “Libero Quotidiano”

     

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    Gli scatti più ruvidi -da cui traspirano il sudore dei pistoni, il rullio delle presse, le sagome oleose e fieramente esauste degli operai della Procter &Famble (o dei cantieri navali Ansaldo piuttosto che del Porto di Genova o dell' Olivetti sommersa dalla linotypes) sono, senza ombra di dubbio, i biancoeneri di Gianni Berengo Gardin.
     

    Berengo Gardin è stato l’Henri Cartier Bresson (cfr.L' uomo e la macchina, Ibm France 1969) della fotografia industriale, il Rossellini del ciclo produttivo e della catena di montaggio. Un genio nel ritrarre la fatica dell' uomo mai sopraffatto dalla macchina.
    Ed è quindi scontato che la seconda edizione di Foto/Industria Bologna 2015 (alla Fondazione MAST) gli dedichi una sezione tra le 14 mostre sparse nei palazzi storici della città felsinea. Non che le altre 13 non valgano.

     

    Soltanto che indagano, invece, il lavoro inteso in senso lato: oltre cioè lo sforzo fisico e oltre i volti dei minatori, dei lucidatori di cannoni, degli addetti alla lavorazione del pollame; oltre, insomma, l' immagine assai propagandistica e su commissione che le aziende proponevano ai futuristi in pittura o ai primi grandi fotografi come Renger- Patzsch o Laszlo Moholy-Nagy. Le altre mostre danzano su tutti i jobs Act del mondo.

     

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    Il lisergico occhio della moda, David LaChappelle, per esempio, illumina con colori pastellati le refineries californiane o le stazioni di servizio immerse nelle periferie americane. Kathy Ryan, con un semplice iPhone cattura immagini di luce nel nuovo ufficio newyorkese realizzato da Renzo Piano e li inietta su Facebook e Instagram come un virus benigno. Pierre Gonnord ritaglia i volti fuliginosi degli operai a trequarti. Neal Slavin presenta i suoi ritratti di gruppo che possiedono la forza evocativa del gruppo.
     

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    Suggestiva, per dire, la piramide umana che s' inerpica sul lampadario delle feste, scattata alle addette alle pulizie di un Grand Hotel; o il mare magno di teste che affollano la Borsa di New York (roba che mi ricorda una foto impietosa tra la folla di Coney Island scattata negli anni 30 da Weegee il famoso...). Slavin, ironicamente, negli anni 80, ritrae un' impalcatura di grattacielo sui cui piani stazionano i «Membri del sindacato lavoratori del terziario di New York», che è come se da noi la Camusso si mettesse in posa issata sul Colosseo.
     

    E poi la passerella aziendale è varia, pittoresca, destrutturante. Il tedesco Hein Gorny - che aveva un po' prima della Repubblica di Weimar tra i suoi commitenti colossi industriali come la Pelikan- sfruculia, incrociando in campo fotografico le teorie dei movimenti Bauhaus e Deutscher Werkbund, gli oggetti.

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    Riproduzioni seriali di tele, carte e tessuti; calze illuminate dall' interno come ombre cinesi; primi piani dei tasti di una macchina per scrivere; orge di colletti da inchiodare ai colli delle camicie; biscotti e maschere antigas disposti in inquietante ordine geometrico; due uomini che dialogano maneggiando un fusibile come fosse un bicchiere di bourbon sospeso nella lama di luce di una persiana, nel retrobottega di un romanzo di Raymond Chandler. Un' eleganza estetica inarrivabile. Che servì alle aziende per incrementare il fatturato avvolgendo nel puntiglio artistico, quello che qualcuno potrebbe chiamare, oggi, «markette di pregio».
     

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    Eppoi ci sono le suggestive locomotive a vapore di Winstton Link, l' uomo che donò se stesso all' epica sbuffante dei «cavalli di ferro» prima che fossero ritirati falle ferrovie americane. E le acciaierie di Edward Burtynsky, e le navi mastodontiche ancorate all' illusione del pre-varo di Luca Campigotto. E le raccolte di «cose» di Hong Hao. E le pittoresche copisterie indiane di Madhuban Mitra e Manas Bhattacharya, tra i quattro finalisti del concorso GD4PHOTOART 2015 vinto da tale Oscar Monzòn.
     

    «Con la Biennale e le molteplici iniziative collaterali» afferma l' imprenditrice Isabella Seragnoli, presidente della Fondazione Mast «la missione della Fondazione assume una connotazione di testimonianza artistica e creativa che da un lato vuole consolidare l' attenzione verso l' industria, dall' altro vorrebbe dare voce alle immagini per promuovere Bologna quale contemporanea e dinamica protagonista mondiale della Fotografia Industriale e del lavoro».
     

    RENZI AL RISTORANTE RENZI AL RISTORANTE

    Non solo Bologna. Ci perdoni, Seragnoli, se ne violiamo un po' lo spirito mecenatesco.
    Questo Foto/Industria Bologna rappresenta, oggi, qualcosa di più che un inno artistico alla fabbrica. L' Italia, oggi, nonostante il suo enorme debito pubblico al 130%, la burocrazia cannibalica, la chiusura delle fabbriche e della partite Iva, rimane comunque il secondo paese manufatturiero d' Europa. Esporta professionalità e utilizza i propri ricordi industriali come cassa di risonanza per gli investitori futuri.
     

    Vale più una mostra del genere -oserei- che cento road show di Renzi tra addetti al fundraising in doppiopetto...

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