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Da sport.sky.it
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Era nelle mire del Milan di Capello Andrès Escobar, il calciatore colombiano passato tristemente alla storia per essere stato ucciso a causa di un autogol provocato alla sua nazionale di calcio. Lo racconta Federico Buffa nel suo commento al film "The Two Escobars (Andrés e Pablo: i due Escobar)", che rievoca una delle più incredibili vicende sportive mai scritte dalla Storia.
Lo hanno diretto i registi Jeff e Michael Zimbalist, con un accuratissimo lavoro di documentazione sulla Colombia degli anni '90, ovvero uno stato trasformato in far west dalla criminalità organizzata del cartello di Medellin, che ne aveva preso il totale controllo. Il patron di quella gang criminale era un omonimo del calciatore ucciso, anche lui tristemente famoso: Pablo Escobar. Al tempo dei fatti è già stato eliminato (si dice dalla CIA), ma la sua famiglia controlla ancora tutto, compreso il calcio colombiano, una delle grandi industrie del Paese.
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Il suo omonimo Andrès Escobar è il capitano di quella nazionale (forse la più forte di sempre), un difensore di grande talento, spinto da passione e patriottismo, ma con la sfortuna di vedersi rimbalzare sulla gamba un pallone che finisce nella rete del suo portiere.
Quell'autogol contro gli Stati Uniti nel Mondiale americano, l'unico nella carriera di Escobar, sarà fatale per le speranze della sua squadra. In Colombia tutto ha un prezzo, anche la vita. Nel calcio vale tutto, tranne una cosa: la morte. Due leggi opposte che si specchiano nella storia dei due Escobar, il cognome più tipico del Paese.
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Il coraggioso Docufilm americano indaga sugli intrecci tra il crimine e lo sport ai tempi dei cartelli del narcotraffico. La sorella di Andrès ne racconta l’infanzia difficile e il carattere forte, la lotta per farcela nel calcio. L'ex allenatore Maturana spiega le doti del giovane calciatore: elegante e altruista, lo definiscono "il gentiluomo del calcio". Lo ricordano i suoi ex compagni di squadra rivelando anche la loro paura di entrare in campo. Eppure la nazionale colombiana è forte, vince molte partite internazionali, vediamo le più belle azioni di gioco commentate dalle tipiche telecronache sudamericane, riviviamo le qualificazioni ai mondiali con le azioni vincenti e la esaltante vittoria sull'Argentina. I ragazzi di Maturama diventano un dream-team, bandiera di un Paese poco amato nel mondo. Il presidente colombiano telefona loro, uno ad uno, per motivarli prima delle partite importanti. I colombiani si identificano sempre di più con la loro Nazionale. La squadra ne è orgogliosa anche se avverte l'ostilità internazionale che la identifica con il narcotraffico. L'obiettivo dei giocatori è quello di cambiare l'immagine della Colombia.
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Alla vigilia della Coppa del Mondo degli Stati Uniti nel 1994, un personaggio come Pelé dichiarava che la Colombia per lui era la squadra favorita per la vittoria. Ma dietro la partecipazione della selecciòn cafetera si dipanano retroscena inimmaginabili, che il documentario ricostruisce puntualmente. Trame politiche ed efferatezze criminali che alla fine conducono ad una unica tragedia simbolica, quella di un bravo giocatore di calcio che perde la vita per un banale errore in campo. La maglia numero 2 di Andrès Escobar, ricorda Buffa nel suo commento, sarà poi indossata anche dal futuro interista Ivan Ramiro Cordoba, forse rivolgendo uno sguardo al cielo dove, si pensa in Colombia, brilli una stella per ogni defunto, soprattutto se ucciso per un autogol.
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ANDRÉS ESCOBAR
Paolo Camedda per goal.com
Era il capitano dell'Atletico Nacionál e della Colombia di Maturana, e avrebbe potuto indossare la maglia del Milan: ma fu assassinato dopo USA '94.
"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda, e come la si ricorda per raccontarla". Le parole di un celebre aforisma di Gabriel García Marquez, scrittore e Premio Nobel colombiano, si adattano perfettamente alla vicenda umana e calcistica di Andrés Escobar, lo sfortunato difensore colombiano ucciso a 27 anni dal narcotraffico per aver determinato, con un autogoal, l'eliminazione ai Mondiali del 1994 dei Cafeteros, sui quali erano cofluite ingenti somme di denaro nel giro delle scommesse clandestine.
Nonostante un'esistenza troppo breve, interrotta in modo terribile con un atto vile e violento, che troverà giustizia soltanto nel 2018, l'insegnamento e i valori che Andrés ha trasmesso a tutti, familiari, compagni, amici, e al calcio e allo sport colombiano, sono più che mai vivi e attuali anche 26 anni dopo la tragica morte. Questa è la sua storia, una storia di amore per il calcio e per la vita, che si lega tuttavia inevitabilmente a quella del Paese colombiano.
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IL NARCOFUTBOL E I MONDIALI DI USA '94
Come un viaggio a ritroso, il racconto della vicenda di Andrés parte necessariamente dal suo epilogo, ovvero i Mondiali USA '94 e quanto accade subito dopo. È il 22 giugno e al 'Rose Bowl' di Los Angeles, lo stesso stadio dove Roberto Baggio qualche settimana più tardi avrebbe tirato alto il rigore decisivo nella finalissima contro il Brasile, ombre oscure incombono sulla Nazionale del Ct. Francisco Maturana.
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La Colombia, intesa come Stato, nel 1994 era una polveriera pronta ad esplodere. L'assassinio di 'El Patrón', Pablo Escobar Gaviria, il re incontrastato del narcotraffico, il 2 dicembre 1993, aveva di fatto scatenato la lotta per la supremazia nel mercato della cocaina, provocando nel Paese sudamericano un'ondata di sangue e terrore. Nei mesi immediatamente precedenti al Mondiale americano si era registrata l'ascesa dei Los Pepes, acronimo spagnolo per 'Perseguidos por Pablo Escobar', letteralmente "Perseguitati da Pablo Escobar".
Questo era il nome di un'organizzazione paramilitare, avente legami con la DEA e la CIA, che, da sempre impegnata in una sanguinosa lotta contro il Cartello di Medellin, era salita alla ribalta per una serie di efferati delitti ai danni dei parenti e degli alleati del boss, e, dopo la morte di quest'ultimo, sotto l'egida dei Fratelli Castaño cercava di portare avanti la lotta armata contro gli altri gruppi di guerriglieri presenti nel Paese. Della collaborazione dei Los Pepes si serve in maniera sempre più consistente il Cartello di Cali, che in pochi mesi riesce ad assumere il dominio del narcotraffico colombiano.
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Il clima di terrore che ne consegue non risparmia nessuno, nemmeno la Nazionale di calcio, che invece andava negli States con l'obiettivo di riscattare l'immagine negativa del proprio Paese a livello internazionale. Per quanto possa sembrare incredibile, a distanza di breve tempo, la Colombia non è più la squadra che aveva incantato il Mondo abbattendo l'Argentina in casa propria, tanto da far dire a Pelé: "La Colombia è la mia favorita per diventare campione del Mondo".
Se Pablo Escobar fosse stato ancora vivo, forse, per quanto paradossale, le cose in quel Mondiale sarebbero potute andare diversamente. Il Patrón era infatti il finanziatore dell'Atletico Naciónal, e si era rivelato abile nel costruire una squadra in grado di vincere in Sudamerica e nel Mondo, tanto da contendere al Milan di Sacchi, nel 1989, la Coppa Intercontinentale dopo aver trionfato nella Libertadores.
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Il signore della droga amava i calciatori, tanto da invitarli spesso nel suo super ranch per festeggiare le vittorie, e da riuscire a organizzare una partita con i Cafeteros nel campo de 'La Catedral', il carcere fortezza di Medellin, nel quale Pablo era detenuto. E i calciatori gli erano grati, chi più chi meno, per quanto faceva per il club. Ma il signore del narcotraffico era stato assassinato, e da allora le cose era cambiate radicalmente.
Il calcio permetteva del resto al narcotraffico di ripulire i soldi sporchi della vendita della cocaina e regalava ai signori della droga grande popolarità. Accerrima rivale dell'Atletico Nacionál era l'America di Cali di Miguel Rodríguez, uno dei fondatori assieme al fratello, del Cartello della città omonima. C'era poi 'Il Mexicano', José Gonzalo Rodríguez Gacha, boss e braccio armato del Cartello di Medellin, con i Millonarios di Bogotà.
La Colombia che si presenta ai Mondiali del 1994, inoltre, è orfana di René Higuita. L'iconico portiere, che, nonostante lo sberleffo di Milla a Italia '90 era perfetto per il gioco di Maturana per la sua abilità a destreggiarsi con il pallone fra i piedi, deve scontare nel 1993 un periodo detentivo di 7 mesi di carcere per aver fatto da intermediario in un sequestro di persona. Sembra però che l'estremo difensore paghi in realtà l'aver reso pubblica una visita in carcere a Pablo Escobar.
pabolo escobar allo stadio
Sta di fatto che René negli Stati Uniti non c'è e al suo posto gioca Oscar Cordoba dell'America di Cali, che aveva fatto bene nelle Qualificazioni e negli anni si dimostrerà un buon portiere. I suoi Mondiali saranno però disastrosi.
Succedono poi fatti inquietanti. Luis Fernando Herrera, difensore dell'Atletico Nacionál, 3 mesi prima dei Mondiali subisce il sequestro del figlio di 3 anni. La richiesta di riscatto è enorme, e il calciatore deve lanciare anche uno straziante appello in tv prima che avvenga la liberazione.
USA-COLOMBIA E L'INCREDIBILE AUTOGOAL DI ESCOBAR
I Cafeteros, favoriti alla vigilia del torneo per il calcio espresso nelle Qualificazioni, nelle quali hanno dominato il Gruppo A sudamericano, strapazzando per 5-0 l'Argentina al Monumental di Buenos Aires, arrivano all'appuntamento con pressioni fortissime. Maturana si affida in difesa ad Andrés Escobar, capitano e giocatore simbolo dell'Atletico Nacionál. Il leader silenzioso e carismatico della Colombia per i suoi valori calcistici e morali, rientra dopo esser stato costretto a un lungo stop dalla rottura del crociato.
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Escobar e compagni steccano clamorosamente la gara d'esordio con la Romania, perdendo 3-1 sotto i colpi di Hagi e Raducioiu, e devono giocarsi tutto contro i padroni di casa degli Stati Uniti. Ma quella partita non è come tutte le altre, perché nel ritiro della Nazionale sudamericana accadono fatti che destabilizzano ulteriormente la tranquillità del gruppo.
Il fratello di Luis Fernando Herrera, ancora lui, è addirittura assassinato. Non solo: si dice che dopo la partita con la Romania, sui televisori a circuito chiuso presenti nell’albergo che ospita i colombiani, compaiano esplicite immagini di minaccia. Ad un altro calciatore del Nacionál, il centrocampista Gabriel Jaime Gomez, cui la critica aveva attribuito le principali responsabilità del k.o. contro la Romania, e allo stesso Ct. Maturana, vengono recapitate minacce di morte.
"Se gioca Gomez - scrivono in un fax fatto recapitare ai Cafeteros - facciamo saltare la sua casa e quella del Ct. Maturana".
pablo escobar con il pallone
Commissario tecnico e giocatore, che è fratello del vice di Maturana, e per questo è considerato "un raccomandato", d'intesa con il resto del gruppo, decidono che non è il caso di rischiare. Gomez si fa da parte e chiude anzitempo l'avventura ai Mondiali.
La Colombia scende in campo al Rose Bowl letteralmente avvolta dalla paura e dalle pressioni esterne. Andrés è scuro in volto e sembra aver perso la sua proverbiale serenità. Quando poi la partita inizia se ne ha la conferma. I Cafeteros, quarti nel ranking FIFA per gli straordinari risultati degli ultimi 2 anni, attaccano a testa bassa gli Stati Uniti, squadra che diverse volte avevano superato in amichevole.
Ma chiunque si accorge che c'è qualcosa di anomalo. "Ci sovrastava come un'enorme mano oscura", diranno in seguito i giocatori. Sulla vittoria della Colombia i narcotrafficanti del Cartello di Cali puntano pesanti somme di denaro. Maturana manda in campo: Cordoba, Perea, Herrera, Escobar, Perez, Rincon, Gaviria, Valderrama (che porta la fascia di capitano), Alvarez, De Avila, Asprilla. La Colombia attacca a testa bassa, ma si scontra anche con la sfortuna: Gaviria colpisce il palo da distanza ravvicinata, sulla ribattuta del legno De Avila calcia a botta sicura, trovando però il disperato salvataggio di Balboa sulla riga.
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Dall'altra parte invece succede l'imponderabile. Al 35' un errore del centrocampo colombiano libera Harkes sulla sinistra. Il giocatore statunitense crossa basso e teso, e Andrés si trova nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Cerca un salvataggio in spaccata, ma, anziché uscire sul fondo o allontanarsi dall'area, la palla rimbalza sul piede destro e, con Cordoba completamente a farfalle, si insacca lenta e beffarda nella porta sbagliata. Il difensore resta a lungo a terra, portandosi le mani sul viso per l'amarezza. Di certo non può immaginare cosa gli succederà appena qualche giorno dopo.
Decisiva, a vedere le immagini, l'incomprensione con il portiere. Con Higuita, forse, non sarebbe successo. Al 52' Stewart raddoppia, e il goal della bandiera di Valencia nel finale non rende meno dolorosa la sconfitta. La Colombia della 'Generazione d'Oro', inserita dai bookmakers fra le possibili vincitrici, era praticamente già fuori dai Mondiali. Serve un miracolo, e non basta il successo per 2-0 sulla Svizzera.
uccisione di pablo escobar nel 1993
La Romania vince contro gli Stati Uniti e si qualifica come prima, mentre USA e Svizzera con quattro punti passano entrambe il turno. La Colombia, quarta, torna a casa. I Cafeteros sono sorprendentemente fuori dal Mondiale.
IL GENTILUOMO DEL CALCIO
Quello contro gli Stati Uniti è stato l'unico autogoal di tutta la carriera di Escobar, soprannominato 'El Caballero de la cancha', ovvero 'Il Gentiluomo del calcio'. Nato il 13 marzo 1967 e cresciuto nel quartiere di Calasanz a Medellin, Andrés si distingue sia sul campo di calcio, sia sui banchi di scuola come studente modello. La mamma gli impartisce anche un'educazione religiosa. La sua morte all'età di 52 anni per un tumore segnerà però per il futuro calciatore un trauma doloroso, che ne forgerà il carattere e il coraggio.
A un certo punto, però, Andrés decide comunque di inseguire il suo sogno calcistico. Fisico asciutto, veloce e forte di testa, ma, soprattutto, dotato di grande personalità e coraggio, quando Maturana lo lancia da titolare nell'Atletico Nacionál a 20 anni nel 1987, non perde più il posto e diventa uno degli interpreti più importanti dell'epopea de Los Verdolagas, la squadra che nel giro di pochi anni, anche grazie ai soldi dell'altro Escobar, diventa una potenza calcistica mondiale.
cartello medellin
Inizia a giocare anche in Nazionale, e nel 1988 segna in amichevole uno storico goal a Wembley per i Cafeteros. L'anno d'oro è però il 1989, in cui vince la Coppa Interamericana e la Copa Libertadores, quest'ultima battendo 5-4 ai rigori i paraguayani dell'Olimpia Asunción. Andrés trasforma con freddezza il primo penalty dei suoi. Nella finale di Coppa Intercontinentale contro il Milan, poi, limita Van Basten, che contrariamente al suo solito, non riesce a fare la differenza in quella partita.
Da sempre sensibile verso i più poveri e i bisognosi, non concepisce che ci siano bambini poveri che non possaro studiare, così finanzia la sua ex scuola per istituire delle borse di studio. Nel 1989/90, prima dei Mondiali italiani, che gioca con i Cafeteros, fa una breve esperienza in Svizzera con lo Young Boys ma poi torna in patria. I Mondiali 1994 avrebbero dovuto consacrarlo nel panorama internazionale, invece segneranno la sua assurda condanna a morte.
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L'ASSASSINIO, I FUNERALI E IL TESTAMENTO SPIRITUALE
Dopo l'eliminazione nella fase a gironi, Escobar fa ritorno in Colombia il 29 giugno con i suoi compagni di squadra. Con la raccomandazione di non lasciare le proprie abitazioni per un po' di tempo, vista la situazione di caos e terrore che regna nel Paese. Andrés progetta allora il suo futuro assieme alla sua fidanzata Pamela Cascardo, che di lavoro fa la dentista. Nei piani c'è il matrimonio e poi l'arrivo in Italia: gli è arrivata infatti un'offerta del Milan. Baresi è vicino al ritiro, si cerca un suo erede.
La sera del 1° luglio però il difensore decide di uscire di casa nonostante i compagni di squadra cerchino di farlo desistere: "Qui i conflitti non si risolvono con una scazzottata. Andrés, stai a casa, che è meglio". Lo implora anche Maturana. Ma il difensore non ne vuole sapere: "Voglio mostrare la mia faccia alla mia gente”.
Escobar dopo aver girato un paio di bar assieme ad alcuni amici di infanzia con cui si trattiene a lungo, dà appuntamento a tutti alla discoteca Padova. Passa quindi a prendere Pamela, ma lei è molto stanca per la giornata di lavoro e preferisce stare a casa a riposare. Escobar arriva alla discoteca alle 10 e mezzo di sera.
carlos lehder rivas pablo escobar e il cartello di medellin
Dopo aver fatto una cena leggera con i suoi amici, e ritrovato il sorriso con i tifosi che gli vogliono bene, a un certo punto resta solo nel locale. Sono da poco passate le 3.30 del mattino del 2 luglio e la cosa certa è che ha una discussione verbale con dei soggetti poco raccomandabili. Sono i fratelli Gallón Henao, narcotrafficanti originariamente amici di Escobar, ma che dopo la sua morte diventarono finanziatori dei Los Pepes dei fratelli Castaño, l'organizzazione paramilitare alleatasi con il Cartello di Cali.
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Lo deridono e lo scherniscono per l'autogoal con gli Stati Uniti. Gli danno del "Frocio", del venduto e gli ricordano che con quel suo dannato autogoal ha fatto perdere parecchi soldi a tutta la Colombia, ma soprattutto a loro. Andrés, che ha anche bevuto un po', non ci sta e, come ha sempre fatto, li affronta con coraggio e chiede rispetto. Capisce però che è il caso di rientrare e si reca nel parcheggio dove ha lasciato l'auto. Ma in qualche modo la discussione riprende. Andrés è disarmato. Mentre sale sulla sua auto, qualcuno da un'altra vettura, che si scoprirà essere una Toyota Land Cruiser nera, gli grida:
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"Complimenti per l'autogoal!".
Partono 6 colpi di mitragliatrice, che ne provocano la morte, prendendolo alle spalle, nonostante venga trasportato in ospedale. Indossa dei jeans blu, una camicia rosa che si tinge di sangue e ha le mani che gli coprono il viso. Pamela, la sua fidanzata, rivela di essersi svegliata di soprassalto quella notte: sente che è accaduto qualcosa di brutto. Poco dopo le arriva la telefonata: il suo Andrés non c'è più.
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L'omicidio di Escobar suscita grande commozione a Medellin e in tutta la Colombia. Al funerale due giorni dopo partecipa una folla di 150 mila persone, fra cui tutti i tifosi dell'Atletico Nacionál, che lo amano, e il presidente della Colombia César Gaviria Trujillo.
"Andrés Escobar rimane sempre nei nostri cuori come un esempio di integrità morale, come un padre di famiglia, e come un colombiano esemplare", dichiara nel suo toccante messaggio.
Ma i responsabili dell'omicidio non si trovano. Nel 1995 Humberto Munoz Castro, ex guardia giurata, si autoaccusa del delitto. Viene condannato a 43 anni di carcere, ne sconterà soltanto 11 per buona condotta, uscendo nel 2005. Apparentemente non ci sono legami con il narcotraffico, ma la verità emergerà soltanto 24 anni dopo. Nel 2018 la polizia arresta Juan Santiago Gallón Henao con l'accusa di traffico internazionale di cocaina.
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Si scopre che è il proprietario dell'auto su cui sono fuggiti gli assassini di Andrés, che era stato lui ad ordinarne l'uccisione perché con quell'autogoal il Cartello di Cali aveva perso ingenti somme di denaro con le scommesse clandestine. Vengono fuori i collegamenti con Los Pepes e il Cartello di Cali. 'Popeye', il sicario di Pablo Escobar, rivelerà inoltre al 'Guardian' che i fratelli Pedro e Santiago Gallón Henao erano riusciti a distogliere le indagini su di loro corrompendo con 3 milioni di dollari un procuratore.
Il cerchio si chiude. Giustizia è finalmente fatta, e anche se nessuno ridarà mai Andrés ai suoi cari, il suo insegnamento e il suo esempio restano un segno ancora oggi.
"Lotto perché si mantenga il rispetto. Un abbraccio forte a tutti. Ci vediamo presto perché la vita non finisce qui", aveva scritto appena qualche giorno prima di morire nella sua lettera-testamento dagli States al quotidiano 'El Tiempo'.
ASPRILLA VALDERRAMA
E aveva ragione lui. I cartelli del narcotraffico oggi non ci sono più, i gruppi paramilitari sono stati smobilitati e la Colombia, sebbene non manchino nuovi problemi, ha cambiato il suo volto e non è più quella sanguinaria dei primi anni '90.
Nel 2019 ad Andrés Escobar è stata intitolata la Cittadella sportiva di Belén a Medellin e il calciatore è raffigurato in una statua al suo interno realizzata dallo scultore Alejandro Hernández. Il suo sacrificio non è stato vano: il difensore è diventato un idolo e un esempio per quei bambini che lui tanto amava e che sognano un giorno di emularne le gesta in campo.
tino asprilla allo specchio ASPRILLA VALDERRAMA valderrama michel valderrama valderrama valderrama higuita valderrama higuita HIGUITA higuita valderrama higuita valderrama higuita valderrama TINO ASPRILLA UCCELLO FEDERICO BUFFA TINO ASPRILLA Faustino Asprilla asprilla tino asprilla tino asprilla pablo escobar