irene pivetti
Giuseppe Guastella per www.corriere.it
L’ex presidente della Camera dei deputati Irene Pivetti vede confermare dalla Corte di Cassazione il sequestro di quasi 3,5 milioni di euro nell’inchiesta della procura della Repubblica di Milano in cui è accusata di evasione fiscale e autoriciclaggio nella compravendita di tre autovetture da corsa Ferrari Gran Turismo che avrebbe avuto lo scopo di riciclare il denaro frutto di una evasione fiscale.
una delle ferrari sequestrate a irene pivetti
La Cassazione ha rigettato l’istanza con la quale i difensori della Pivetti avevano chiesto di annullare il sequestro ottenuto dal sostituto procuratore Giovanni Tarzia a seguito delle lunghe e complesse indagini fatte dalla Guardia di Finanza di Milano. A febbraio dal Tribunale del riesame di Milano aveva accolto il ricorso del pm che si era visto bocciare dal gip il sequestro parte di circa 3,5 milioni ai carico dell’ex deputata e di quasi mezzo milione ad un suo consulente, Pier Domenico Peirone, il quale ha già patteggiato 1 anno e 10 mesi.
Intanto sempre il pm Tarzia ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex più giovane presidente di Montecitorio e di altre 5 persone al gup Fabrizio Filice che la esaminerà il caso il 6 ottobre.
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La vicenda è legata alla mediazione nella vendita per 10 milioni di euro al magnate cinese Zhou Xijiandi del marchio della scuderia di auto da corsa Gt Leo e di tre Ferrari da competizione, che però, secondo l’accusa, sarebbero andate in Cina solo sulla carta perché sono state vendute in Europa. Nell’affare il gruppo Only Italia che fa capo alla Pivetti avrebbe realizzato una plusvalenza di 8,8 milioni che non sarebbero stati dichiarati e di cui 7,9 sarebbero arrivati alla stessa Pivetti alla quale è stato recapitato anche un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate per quasi 3,5 milioni di evasione.
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Secondo l’accusa, i 10 milioni sarebbero partiti dal gruppo acquirente di Honk Kong «More & more investment» di Zhou Xijian per giungere in Italia attraverso una società della galassia Only Italia, passando da Cina e Polonia. Una «esterovestizione» di società italiane che sarebbe, cioè, state fatte apparire come se operassero all’estero ma in realtà lavorano in Italia dove non avrebbero pagato le tasse.
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