1 - UNA COSA SPORCA
Mattia Feltri per “La Stampa”
fabio de Pasquale
Tanti anni fa Francesco Greco, oggi procuratore di Milano, disse che l' inchiesta Mani pulite non era servita tanto a sanzionare dei reati, quanto a «risolvere il problema per avere un' Italia migliore». E per avere un' Italia migliore, il capitalismo doveva capire che cosa era e che cosa voleva. Pochi mesi dopo, il pm Fabio De Pasquale sintetizzò meglio: «Il capitalismo è una cosa sporca». Non so se i due, venticinque anni più tardi, perseguano ancora l' obiettivo un po' esorbitante, perlomeno rispetto ai loro compiti, di un' Italia migliore e meno capitalista, ma so che da allora indagano e processano in particolare l' Eni con risultati parecchio altalenanti.
francesco greco
L' Eni, cioè l' azienda strategicamente più importante del Paese. L' ultima sentenza, sull' ipotesi di corruzione internazionale per il petrolio in Nigeria, è andata male (anzi bene): tutti assolti, non ci furono tangenti. Ieri sono uscite le motivazioni di sentenza in cui i giudici ricordano un video scartato dalla procura, e fortuitamente scoperto da un avvocato in tutt' altro processo, che poi ha fatto un gran comodo alla difesa.
Una scelta «incomprensibile», scrivono i giudici, e se fosse andata a buon fine non avremmo conosciuto «un dato processuale di estrema rilevanza». Il pm De Pasquale ha detto che a lui tanto rilevante non sembrava, e chiusa lì.
piero amara
C' è poco da aggiungere: l' indipendenza della magistratura risparmia dall' incomodo di essere valutati, se non dal Csm che sappiamo. Però intanto c' è un sindaco indagato perché un bambino all' asilo s' è schiacciato le dita in una porta. Diciamo così: il problema di avere un' Italia migliore non parrebbe risolto.
2 - ENI E LE ASSOLUZIONI I GIUDICI SUI PM: «NASCOSERO IL VIDEO UTILE ALLA DIFESA»
Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
fabio de Pasquale
Nel processo Eni-Nigeria è stata «incomprensibile la scelta della Procura di non depositare agli atti» una prova di «estrema rilevanza» per le difese perché mostrava come Vincenzo Armanna, coimputato ex dirigente Eni di cui i pm strenuamente valorizzavano le accuse a Eni e all'a.d. Claudio Descalzi, due giorni prima di presentarsi spontaneamente in Procura il 30 luglio 2014 pianificasse di «ricattare i vertici della società petrolifera preannunciando l'intenzione di rivolgersi ai pm milanesi per far arrivare "una valanga di merda" e "un avviso di garanzia" ad alcuni dirigenti della compagnia».
Contenuta nelle quasi 500 pagine di motivazione dell'assoluzione lo scorso 17 marzo di tutti i 15 imputati, la severa censura muove dall'udienza del 23 luglio 2019, allorché era stato il difensore di un coimputato Eni a far presente di aver trovato per caso, in altro procedimento in un'altra città, la videoregistrazione di un incontro con Armanna effettuata in maniera clandestina il 28 luglio 2014 da Amara in una società dell'imprenditore Ezio Bigotti.
vincenzo armanna
Al Tribunale il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale aveva «confermato di esserne in possesso già da tempo, ma di non averlo portato a conoscenza delle difese e del Tribunale perché ritenuto non rilevante»: «interpretazione banalizzante», la giudica ora il Tribunale, che rimarca come «una simile decisione, se portata a compimento, avrebbe avuto quale effetto la sottrazione alle difese e al Tribunale di un dato di estrema rilevanza».
L'accusa dei pm a Eni e Shell, ai loro vertici e intermediari, era corruzione internazionale: ma i giudici Tremolada-Gallina-Carboni colgono «non condivisibili profili dell'imputazione» tra «contraddittorietà», «confusione nella sovrapposizione di accordi leciti e illeciti», «mancata distinzione tra corruttori e intermediari privati».
i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro -U43070110205349sDC-593x443@Corriere-Web-Sezioni
Fattori che finiscono per indebolire anche «un indizio certamente grave della destinazione illecita del denaro» come il fatto che 500 milioni, metà prezzo pagato da Eni e Shell al governo nigeriano per acquistare nel 2011 la licenza petrolifera Opl 245 detenuta dietro prestanome dall'ex ministro del Petrolio Dan Etete, fossero stati cambiati in contanti dal fiduciario dei politici, Aliyu.
In requisitoria De Pasquale sostenne che la controritrattazione della ritrattazione di Armanna dovesse essere valutata a carico di Descalzi come prova dell'aver tentato di far ritrattare Armanna tramite l'avvocato esterno Eni Piero Amara (arrestato martedì a Potenza) e il capo del personale Eni Claudio Granata.
DAN ETETE
Ma il Tribunale, in scia al pm per cui era «non esagerato dire che gran parte del racconto di Armanna è non solo vero, ma pacificamente vero»), esamina una a una le dichiarazioni di Armanna per notare come invece o siano «pacificamente false» o «presentino un nucleo di verità storica» ma «accostate in modo allusivo per attribuire alone di sospetto a situazioni fisiologiche». Descalzi e Granata sono da tempo indagati per depistaggio, ma, «qualunque sia l'esito», per i giudici «in nulla potrebbe incidere sull'inattendibilità intrinseca di Armanna».
fabio de Pasquale
Che «certo non avrebbe potuto essere sanata dalla testimonianza di Amara», richiesta «con evidente irritualità» dai pm il 5 febbraio 2020 in extremis su «interferenze della difesa Eni e di taluni imputati nei confronti di magistrati milanesi con riferimento al processo». Tacendo al Tribunale di aver all'epoca già inviato alla Procura di Brescia (che, competente sulle toghe milanesi, poi lo archivierà a ignoti) un vago «de relato» di terza mano di Amara proprio sul presidente del collegio. Ardita è invece la proiezione del Tribunale quando si spinge a ritenere che in teoria, quand'anche su Armanna ci fosse stata interferenza, sarebbe interpretabile o come depistaggio o «come il comportamento di un amministratore che, pur di proteggere la propria compagine dalle calunnie rivoltele, accetta di scendere a patti con il ricattatore».