E SE IL SOFÀ-GATE FOSSE UN TRAPPOLONE CONTRO URSULA VON DER LEYEN? - I TURCHI SOSTENGONO CHE SIA STATO SEGUITO IL "PROTOCOLLO STANDARD": "LA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA NON È STATA TRATTATA IN MODO DIVERSO. NÉ LA DELEGAZIONE UE HA CHIESTO UNA DIVERSA DISPOSIZIONE" - CHI DOVEVA VIGILARE SUL PROTOCOLLO PER CONTO DELL'UE E' TROPPO ESPERTO (SI TRATTA DI AMBASCIATORI DI GRADO) PER COMMETTERE ERRORI COSI' GROSSOLANI - IL DAGOREPORT
EMMA BONINO
SOFA-GATE COLPA DELLA UE
Emma Bonino per “la Stampa”
Appurato che l'incidente diplomatico di Ankara non ha nulla a che vedere con la mancanza di sedie e tantomeno con il galateo, proviamo a rimettere in fila i fatti a partire dall' ultimo in ordine di tempo: la versione della Turchia, che si è chiamata fuori e ha attribuito l'errore ai responsabili del cerimoniale europeo, non è stata smentita.
Tanto per cominciare ci sono le ambizioni incrociate delle tre principali istituzioni europee.
IL SOFAGATE VISTO DA OSHO.
Per quanto si lavori insieme, la rivalità tra il Consiglio Europeo, la Commissione e il Parlamento è vecchia quanto l' UE. Altrettando nota è la competizione personale tra Charles Michel e Ursula von der Leyen, una corsa a primeggiare che era meno evidente in altri tempi, come quando nel 2015 Donald Tusk e Jean-Claude Junker trovarono ad Ankara una sedia per ciascuno.
La seconda questione riguarda la Von der Leyen, che stavolta viaggiava senza consiglieri diplomatici e aveva affidato il protocollo all' ufficio di Michel e ai turchi. Mi sembra evidente che ci sia un vulnus e che certe missioni andrebbero preparate con maggiore attenzione anche ai dettagli per prevenire potenziali insidie, soprattutto nelle capitali con le quali i rapporti non sono esattamente amichevoli.
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Ma l' aspetto più importante riguarda i dossier di cui i rappresentanti europei avrebbero dovuto discutere con la controparte, il presidente Recep Tayyip Erdogan, "il dittatore" di cui si ha bisogno, come ha scandito il premier Mario Draghi con la sua capacità di parlare chiaro. Nessuno lo aveva espresso così chiaramente prima di lui, a parte me, ovviamente, che a differenza di Draghi non faccio testo.
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Attenzione, perché il problema alla fine è tutto lì, il dilemma quotidiano tra diritti umani e interdipendenze, connessioni economico-strategiche, posti di lavoro. Dicevamo però dei dossier. Basta rileggersi le ultime pagine sulla Turchia del documento finale dell' ultimo vertice dei capi di stato e di governo per aver un' idea della posta in gioco: si cita il contenimento dei migranti finanziato da un fondo ad hoc annuale, che deve essere rinnovato anche dal parlamento europeo, c'è poi la partita dell' update dell' unione doganale vecchia e da sempre imperfetta e c'è infine una parte sulle trivellazioni a Cipro.
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Non a caso neppure una parola sul ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul. Ne hanno parlato durante l'incontro di mercoledì? Immagino di sì. Sarebbe interessante sapere allora con quale esito dal momento che i due dossier più importanti di cui avevano mandato devono passare dal Parlamento di Strasburgo.
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La Turchia fa la Turchia. E siamo comunque davanti ad uno sgarbo politico evidente, di mancato riconoscimento dell' Europa. Charles Michel dal canto suo avrebbe potuto muoversi diversamente, per esempio lasciare la sua poltrona alla presidente Ursula von der Leyen, gesto inequivoco di coesione istituzionale europea. Invocarne oggi le dimissioni mi sembra una richiesta esagerata ma in questo caso, a conti fatti, chi ne esce con le ossa rotte sono le istituzioni europee. E non è la prima volta. Ricordate alcune settimane fa la visita dell' Alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell a Mosca, quando sotto i suoi occhi furono espulsi dei funzionari europei? Appunto.
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