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1 - PALAZZO IN FIAMME, I DUBBI DEI PM «QUEI PANNELLI NON ERANO SICURI»
Cesare Giuzzi per il “Corriere della Sera”
Sugli alberi del parco, sotto lo scheletro della torre bruciata, ci sono filamenti simili a ragnatele. È materiale plastico misto a lana di vetro «colato» dalla facciata. Resti dei pannelli di rivestimento «bruciati come cartone», per usare le parole del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano che coordina le indagini sull'incendio della Torre dei Moro di via Antonini.
È lì che si nasconde la causa di un rogo tanto «rapido e imponente» da avvolgere la facciata in meno di 15 minuti trasformando un «normale» incendio in appartamento (al 15esimo piano) in una tragedia evitata solo dalla prontezza degli inquilini e dei soccorsi. Un altro filone delle indagini riguarda invece l'impianto antincendio.
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Alcuni abitanti hanno messo a verbale che le «bocchette» tra il quinto e il decimo piano non erogavano acqua. Gli stessi vigili del fuoco non hanno potuto usare l'impianto interno in parte fuori uso. Nel racconto dei primi pompieri intervenuti per primi le scale d'emergenza erano «piene di fumo» così come «alcuni piani», anche se l'impianto di areazione e le porte tagliafuoco avrebbero dovuto evitarlo.
La prima certezza dell'inchiesta è empirica, ma «sotto gli occhi di tutti»: i video dell'incendio mostrano il propagarsi delle fiamme in modo innaturale, dall'alto verso il basso, sulle due facciate esterne con una rapidità che lascia pensare a un «combustibile», quasi un «accelerante».
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Non ci sono dubbi sulla matrice accidentale delle fiamme, ma proprio il rivestimento interno dei pannelli di Alucobond (un sandwich di sottili lamine di alluminio e materiale isolante leggero) avrebbe agito come «benzina». Lo spazio vuoto tra le lastre ha poi dato ossigeno in una sorta di «effetto camino».
Le indagini si concentrano sulla proprietà e sull'impresa «Moro costruzioni», chiusa alcuni anni fa e trasformata in «real estate», e la Saint Gobain di Pisa che ha realizzato il rivestimento. Gli esperti del Nucleo investigativo antincendi dei vigili del fuoco hanno sequestrato i resti della copertura e alcune sezioni rimaste integre.
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Le perizie in laboratorio - che non si annunciano brevi così come l'inchiesta - daranno un nome al materiale usato per «riempire» i pannelli delle facciate. Da capire se i pannelli siano stati montati secondo le specifiche e se siano stati usati isolanti e schiume non previste. Stesso discorso per la vernice con cui è stata rivestita la facciata.
L'Alucobond è un materiale molto utilizzato nelle nuove costruzioni, oggi è certificato come «ignifugo» o «difficilmente infiammabile». Il rivestimento sulla torre di via Antonini è stato posizionato nel 2011. Le normative non imponevano l'uso di materiale antincendio all'esterno dei palazzi. «Per la verità anche oggi la materia resta controversa», spiegano gli inquirenti.
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Tuttavia «un conto è usare pannelli non ignifughi, un altro prodotti che hanno favorito le fiamme e le hanno alimentate. I rivestimenti non devono bruciare così», spiegano i magistrati. I danni nel grattacielo sono ingentissimi. Alcuni alloggi del lato est si sono in parte salvati. In altri sono crollate anche le solette di cemento.
I vigili del fuoco hanno acquisito un video amatoriale dove vengono riprese le prime fasi dell'incendio nell'appartamento al 15esimo piano. Il rogo potrebbe essersi innescato sul balcone o vicino alla porta finestra per un cortocircuito: il motore del condizionatore, una batteria lasciata in carica e surriscaldata, una lampada. La casa era deserta. Il proprietario era in vacanza in Sicilia da due settimane. L'ultimo ad entrare in casa è stato il portiere 5 giorni fa per annaffiare le piante. Oggi sono attesi i dati sui consumi dell'elettricità nell'appartamento per capire quali apparecchi erano rimasti accesi.
2 - "NOI SALVATI DA WHATSAPP MA NON ABBIAMO PIÙ NIENTE"
Alberto Mattioli per “La Stampa”
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La scena è surreale. Dentro lo scheletro annerito del grattacielo di via Antonini ci sono i vigili del fuoco che ispezionano appartamento per appartamento e mettono in sicurezza quel che ne resta. Fuori, nello spiazzo di un distributore, prorietari e inquilini guardano le loro vite andate in fumo.
Alcuni sono tornati in tutta fretta dal mare, non si sa se più abbronzati o increduli. Chi era lì, mentre le fiamme hanno iniziato ad avvolgere tutto con una rapidità inquietante, oscilla fra la disperazione per non avere più nulla e il sollievo per essersi salvato. Tutto è perduto, fuorché la vita.
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«No, il soffitto non è così nero», dice un signore al telefono scrutando le finestre di quella che era la sua casa. C'è chi piange, chi già scrive mail ad avvocati e assicuratori e chi manda a quel paese i giornalisti che chiedono come ci si sente quando ti brucia la casa: «Lei che ne pensa?».
Sono vivi grazie a una chat su WhatsApp. In una città dove per lo più del vicino di pianerottolo si ignora perfino il nome, la Torre dei Moro era un condominio atipico e coeso, con una vita comunitaria. La chat per condividerla è servita a dare l'allarme a tutti. Altra strana caratteristica: gli anziani sono pochissimi, forse perché lo stabile aveva appena dieci anni. Per lo più, gli adulti sono professionisti in carriera (alcuni molto in carriera, come Mahmood); i ragazzi, studenti alla Bocconi che è a un chilometro e mezzo. Socialmente, un misto: dagli studenti in affitto agli attici da un milione e passa di euro. C'è stato chi ha avuto la prontezza di dare l'allarme.
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Come un ragazzo del sedicesimo piano, sopra quello dov' è scoppiato l'incendio: «Ero appena tornata a casa dalle vacanze - ha raccontato -. Già sul pianerottolo c'era un forte odore di fumo. Sono entrato, ho posato le sacche, mi sono affacciato alla finesta, ho visto il fumo salire dal piano di sotto. E ho dato bussato alle porte».
Mirko Berti occupava uno dei due appartamenti al sedicesimo piano: «Ero appena uscito. Mi ha chiamato il vicino: guarda che c'è un incendio nel nostro palazzo. La prima ad accorgersene è stata sua figlia sedicenne. Poi è arrivato il messaggio in chat. Adesso sono calmo, sta finendo l'effetto dell'adrenalina. Alle cinque del mattino, in albergo, piangevo come un bambino. Ero stato fra i primi a comprare qui, ci chiamavano "i nativi".
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Faccio il consulente, non ho più il computer, l'archivio, nulla. Tutto quel che mi è rimasto sono i vestiti che ho indosso. Ma i dolore maggiore è per i miei libri, avevo una stanza solo per quelli di viaggio. Spero che ci diano una mano. Domenica è venuto il sindaco Sala per un quarto d'ora, oggi mi sarei aspettato di vedere qualche rappresentante delle istituzioni, invece niente».
Vera Gandini è una giornalista Mediaset. È forse quella che ha rischiato di più: abita in una delle villette nella corte, dove a un certo punto ha cominciato a piovere fuoco dall'alto. «Stavo preparando un pezzo sull'incontro fra Letta e Sala alla Festa dell'Unità e non mi sono accorta di nulla. All'improvviso è arrivato mio marito urlando: corri, corri!».
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E tu che hai fatto? «Mi sono messa le scarpe e ho sollevato di peso Pierguido, il mio cane di diciannove anni. Sono uscita fra le fiamme, appena prima che esplodesse la conduttura del gas. Sala me lo sono trovato davanti poco dopo». Ieri le hanno dato il permesso di rientrare un momento a casa: «È meno distrutta di quanto pensassi.
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La parte davanti è tutta bruciata, quella dietro no. Ho potuto prendere qualche oggetto, per ora vivrò dai miei ad Alessandria, poi si vedrà». A Laura è andata peggio. Ingegnere chimico, 40 anni, viveva al quindicesimo piano dal 2011, «un bell'appartamento con il terrazzo. Ero a casa dei miei a Vicenza quando nella chat è apparso il video dell'incendio. Ho visto la finestra della mia camera bruciare. È come un lutto. Ho passato la notte a fare l'inventario di tutto quel che ho perso». Cominciano le iniziative di solidarietà.
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Don Lucio della parrocchia di Maria Liberatrice si sta organizzando per l'assistenza, non solo spirituale. Su Facebook c'è già una pagina «Le scatole del grattacielo» per raccogliere quel che può essere utile a chi non ha più nulla. E ci sarà un conto corrente per le donazioni. In serata, arriva anche il miracolo. Da ore, Chiara era abbracciata al fidanzato, in ansia per Artù e Chiara, i gatti rimasti al settimo piano: «I miei genitori non avevano capito che fosse così grave, sono scesi senza prenderli. Mio fratello avrebbe voluto tornare indietro, ma era troppo tardi.
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I vigili del fuoco mi dicono che c'è una probabilità su cento che siano vivi, nel rogo le temperature sono arrivate a 800 gradi». E invece alle 18.10 sbucano due pompieri con un sorriso largo così sulla faccia annerita. Uno porta Kira, l'altro Artù: frastornati ma vivi. Lacrime, applausi, baci e una corsa dal veterinario. La vita, nonostante tutto.
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