Paolo Brera per “la Repubblica”
Valerii Zaluzhnyi
Dicono che dopo la stretta di mano nei negoziati a Istanbul, quando i russi annunciarono «una significativa riduzione delle operazioni militari a nord nelle regioni di Kiev e Chernihiv», il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia mandato il suo fido capo di gabinetto, l'amico e produttore cinematografico Andriy Yermak, a lisciare il pelo al generale Valerii Zaluzhnyi, che nove mesi fa aveva nominato capo delle forze armate. Che ne dice, generale, di fare altrettanto? Di mettere in atto «un cessate il fuoco di fatto» per favorire le trattative? Zaluzhnyi gli sorrise, lo salutò cordialmente e diede l'ordine opposto: picchiare duro sui russi in rotta, prima di ritrovarseli davanti nel Donbass.
Aleksandr Dvornikov
In effetti è lì che erano diretti. Ci siamo, la "fase due" di questa guerra che strazia e demolisce è alle porte dell'Est; e se ci sono due presidenti poco disposti a far pace, per certo hanno schierato due generali molto pronti a far guerra.
Vladimir Putin ha affidato le redini della battaglia ad Aleksandr Dvornikov, ribattezzato "il macellaio" per i precedenti nella seconda guerra cecena e in Siria: civili massacrati, obiettivi raggiunti. Zelensky ha consegnato le chiavi delle forze armate a Zaluzhnyi, che combatte nel Donbass dal 2014 e ha più volte ribadito di ritenere necessario «condurre operazioni offensive per liberare i territori occupati».
Valerii Zaluzhnyi
Decisamente non è uno stratega di pace. Ma ha respinto l'avanzata dei russi a nordovest impedendo che prendessero Kiev «in due giorni», e si è conquistato il soprannome di generale «di ferro».
Le due biografie divergono sul campo: entrambi hanno ottenuto la patente di "eroe", ma Dvornikov l'ha bagnata nel sangue dei civili siriani e ceceni massacrati senza pietà. Zaluzhnyi è nato in una cittadina 240 chilometri a ovest di Kiev, Novohrad-Volynskyi. Ha 48 anni, è figlio di un militare, laurea a Odessa e accademia a Kiev con medaglia d'oro: nel 2014 guidava una brigata motorizzata a Debaltseve, dove si combatté una delle battaglie più drammatiche e sanguinose per le forze armate ucraine.
Aleksandr Dvornikov 2
Ha scalato tutti i gradi della carriera senza mai apparire, parlando pochissimo e mettendo a tacere i politici invadenti. Non ha mai cercato di essere una star. Per Zelensky era un partner perfetto: al generale pieni poteri sulle forze armate, a lui nessun ostacolo in politica. E così è stato ed è.
Putin invece ha scelto un 60enne nato a Ussuriysk, a 50 chilometri dalla Corea del Nord. Primo comando nell'estremo oriente, da lì una scalata fino al vertice del Distretto militare Sud da cui dipende la Crimea, il Caucaso e il Mar Nero. È accusato di avere usato spudoratamente ogni arma ibrida pur di ottenere l'obiettivo: collaborare con Assad per le partite sporche, la tortura, le armi chimiche, distruggere ogni forma di resistenza costi quel che costi. Spiana la Cecenia, demolisce Aleppo. Ma sa come ottenere ciò che vuole, e Putin ne ha un dannato bisogno.
Valerii Zaluzhnyi
Zaluzhnyi ha lavorato fianco a fianco con gli addestratori Nato, e fonti militari italiane assicurano che i progressi nella gestione della catena di comando ucraina sono stati decisivi. Hanno imparato «la flessibilità del comando invece della rigidità di stampo sovietico», che è costata la sconfitta nella prima parte dell'invasione.
Per Hanna Shelest, capo analista militare del think tank ucraino Prisma , «avendo realizzato che l'Ucraina non si arrenderà, il Cremlino ha scelto Dvornikov per l'esperienza di guerra e l'assenza di limiti. E purtroppo dobbiamo aspettarci un numero crescente di atrocità».
Aleksandr Dvornikov