Emanuele Buzzi per corriere.it
DI MAIO FICO
La decisione è arrivata di notte, dopo una giornata scandita dagli impegni istituzionali. Lunedì sera Luigi Di Maio ha riunito il suo cerchio più stretto di collaboratori, ha soppesato le evoluzioni delle ultime ore e ha deciso di rompere gli indugi. «Ora basta, usciamo», avrebbe detto ai suoi il ministro degli Esteri. Si è trattato di una scelta — come lo stesso ex capo politico M5S ha ricordato in conferenza stampa — «sofferta», di sicuro molto meditata.
La situazione tra Di Maio e i vertici Cinque Stelle era compromessa da tempo, ma due episodi hanno fatto precipitare gli eventi. A segnare lo strappo sono due passaggi fondamentali delle ultime ore. In primo luogo, c’è l’assemblea congiunta dei deputati e dei senatori stellati prevista per stasera a Roma: la riunione avrebbe dovuto essere nelle intenzioni il luogo per parlare delle dichiarazioni del ministro degli Esteri sul disallineamento del Movimento dalla linea atlantista. In teoria, quindi, il luogo del dibattito sull’ex leader. Di Maio avrebbe voluto esserci per spiegare le sue ragioni. Il titolare della Farnesina, però, in queste ore è in missione in Serbia.
fico grillo di maio
Ha chiesto di anticipare o posticipare l’incontro per poter partecipare, ma la sua richiesta è rimasta inascoltata. Questa è stata la prima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il colpo di grazia definitivo è arrivato con le dichiarazioni di Roberto Fico. «Come può un presidente della Camera attaccare un ministro per di più in missione istituzionale?», si lamentano i dimaiani più stretti. E ancora: «Il senso di rivalsa personale non dovrebbe mai prevalere sugli interessi del Paese». Le parole di Fico sono lo spartiacque.
Già nei giorni scorsi circolavano stime sul gruppo pronto a sostenere il titolare della Farnesina. Si parlava di 35-40 parlamentari. Ieri mattina, già in orario di colazione, sono partite le prime telefonate per serrare i ranghi e vedere di ampliare la compagine. I malumori interni al partito hanno fatto da volano, sorprendendo gli stessi dimaiani. I numeri sono cresciuti di ora in ora e i ben informati sostengono che le adesioni non sono terminate. Anzi.
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Fonti di primo piano fanno notare come «la prova di forza abbia alla fine indebolito Conte» e come lo strappo «sia il frutto di un lento logoramento, di un rapporto mai decollato con Conte». Insomma, sarebbe «l’evoluzione di ruggini che risalgono al periodo del governo gialloverde». I contiani replicano dicendo che Di Maio ha preferito uscire dal Movimento «prima del voto sui due mandati, in modo da non finire triturato». Le schermaglie verbali tra le due ali sono un ping pong continuo in queste ore, ma i toni lasciano trasparire un cambio. «Qualcosa si è rotto e non si può più ricucire», dice uno dei volti moderati del Movimento.
Fico Di Maio
La giornata di Di Maio, dopo la tensione dei giorni scorsi, è stata vissuta con un «maggior sollievo». Presa la decisione, il ministro ha contattato i canali istituzionali, si è seduto a Palazzo Madama al fianco del premier Mario Draghi e in serata è stato ricevuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Si vocifera anche di una telefonata con Beppe Grillo, per spiegare al «padre nobile» i motivi della scelta. L’evoluzione degli eventi avrebbe spiazzato il garante del Movimento, che era atteso a Roma in queste ore e che starebbe meditando di rinunciare al blitz nella Capitale. Sono ore — per chi fa parte della vecchia guardia del Movimento — di grande incertezza.
La mossa di Di Maio ora ha creato ulteriori imbarazzi per eventuali deroghe al tetto dei due mandati. «Farle sarebbe come ammettere che lui era il problema, non farle significa suicidarci politicamente», dice un parlamentare alla seconda legislatura. Ma per Di Maio oramai questi sono problemi superati. L’orizzonte del ministro, si sa, è nel fronte moderato e ora, dopo l’uscita dal Movimento, potrà lavorare «per aggregare nuove forze». E c’è chi va già oltre il suo recente passato: «Ora dovremo toglierci l’etichetta Cinque Stelle di dosso».
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