Estratto dell’articolo di Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
IAN BREMMER
Creare un organismo planetario di ricerca per analizzare in modo scientifico rischi e opportunità dell’intelligenza artificiale (AI), definendo i problemi reali: come l’Ipcc, il panel Onu sul clima. E poi, su questa base, creare sistemi di regolamentazione, sorveglianza e intervento nelle crisi che siano flessibili, adattabili rapidamente ai mutamenti tecnologici.
Così Ian Bremmer sintetizza il lavoro fin qui svolto dai 38 esperti mondiali dell’Advisory Body delle Nazioni Unite sull’AI (il politologo di Eurasia è il relatore della Commissione della quale fa parte anche il francescano italiano Paolo Benanti, docente della Pontificia Università Gregoriana). […]
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Si sapeva che all’inizio avreste stabilito principi e definito questioni di metodo. Ma non c’è il rischio che, mentre si traccia una roadmap e si crea un nuovo centro di ricerca, la tecnologia evolva sfuggendo a ogni controllo?
«Introdurre regole condivise su una materia così magmatica in un mondo dilaniato dai conflitti sarà difficilissimo, ma dobbiamo mettere un punto fermo sui dati per definire le situazioni sulle quali intervenire. Come per il clima: sulle cose da fare contro il global warming ci si può dividere, litigare, anche rompere negoziati, ma si parte sempre da dati scientifici condivisi: com’è cambiato il clima, quali le maggiori fonti d’inquinamento, le aree più colpite. Serve la stessa cosa per l’AI».
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Che, però, avanza ancor più rapidamente del deterioramento del clima…
«Esatto, sono tecnologie almeno tre volte più veloci della legge di Moore (in base alla quale la potenza dei sistemi informatici raddoppia ogni 18 mesi, ndr). Dobbiamo, quindi, cambiare paradigma creando norme più flessibili e adattabili a questa rapida evoluzione e aggiornare i parametri con grande frequenza, non una volta l’anno come si fa ora col clima».
IAN BREMMER
Aggiornamenti istantanei, regole a geometria variabile, adattabili a una realtà che evolve. Una rivoluzione normativa: quanto è praticabile negli stessi Usa, leader mondiale della tecnologia, ma anche Paese in cui oggi si discute se una norma di metà Ottocento, legata alle conseguenze della Guerra di secessione, sia applicabile alla lotta per la Casa Bianca?
«Qui le risposte sono due. La prima: serve una nuova metrica, aggiornata momento per momento, come avviene già per i mercati finanziari. E servono organismi d’intervento come il Financial Stability Board, capace di valutare nuovi prodotti finanziari, nuovi rischi che possono arrivare da ogni direzione.
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La seconda risposta è che realisticamente, con mutamenti tecnologici così rapidi, molte misure falliranno: ma il lavoro fatto servirà comunque, in caso di crisi. Saremo più preparati, sapremo dove mettere le mani, quali sono le persone e gli organismi da mettere in campo”.
[…] Le imprese di Big Tech sono molto potenti. Non vede rischi di condizionamenti?
«Siamo realisti. Oggi l’AI è nelle mani di Big Tech. Se non ci muoviamo in fretta vivremo in un mondo tecnopolare. Per agire abbiamo bisogno delle imprese: sono nella Commissione, insieme a governi, scienziati, accademici. Difendono i loro interessi, ovvio, ma fin qui le pressioni sono state modeste e non sono venute da Manyika. E sono state respinte».
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