Enza Cusmai per “il Giornale”
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Una molecola che ringiovanisce il cervello anche in età adulta in grado di bloccare l' Alzheimer appena fa capolino.
Questo sogno potrebbe diventare tra qualche tempo una realtà clinica grazie a ricercatori italiani che hanno introdotto l' anticorpo A13 all' interno delle cellule staminali del cervello, riattivando la nascita di nuovi neuroni.
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La scoperta offre grandi prospettive di applicazione nonostante sia stata sperimentata solo sui topi. Nel mondo infatti sono circa 46 milioni le persone colpite da demenze, il 50-60% delle quali soffrono di Alzheimer. E in Italia, ottava tra i paesi con il maggior numero di persone affette, si stimano 1,4 milioni di malati, oltre 600.000 dei quali colpiti da Alzheimer.
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Di fronte a questa emergenza sanitaria la ricerca a livello mondiale tenta di trovare nuovi metodi di trattamento, prevenzione e una cura per il morbo di Alzheimer e le altre demenze progressive. Ma attualmente, i trattamenti si rivolgono solamente ai sintomi del morbo di Alzheimer, non esiste cura efficace.
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Ma ecco entrare in gioco i ricercatori della Fondazione EBRI Rita Levi Montalcini con l' anticorpo A13, che ringiovanisce il cervello favorendo la nascita di nuovi neuroni e contrastando così i difetti che accompagnano le fasi precoci della malattia. Lo studio è stato effettuato su topi che, così trattati, hanno ripreso a produrre neuroni ad un livello quasi normale recuperando dell' 80% i difetti causati dalla patologia di Alzheimer nella fase iniziale.
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La premessa è che in una fase molto precoce della malattia di Alzheimer si riducono i nuovi neuroni nel cervello adulto (neurogenesi). Questa alterazione è causata dall' accumulo nelle cellule staminali del cervello di aggregati altamente tossici della proteina beta Amiloide, chiamati A-beta oligomeri.
Il team è però riuscito a neutralizzare gli A-beta oligomeri nel cervello di un topo malato di Alzheimer introducendo l' anticorpo A13 all' interno delle cellule staminali del cervello, riattivando la nascita di nuovi neuroni e ringiovanendo così il cervello.
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Lo studio è stato pubblicato di recente sulla rivista Cell Death and Differentiation dove si spiega la duplice funzione di questo studio. I ricercatori Raffaella Scardigli e Giovanni Meli, racontano: «Da una parte dimostriamo che la diminuzione di neurogenesi anticipa i segni patologici tipici dell' Alzheimer, e potrebbe quindi contribuire ad individuare tempestivamente l' insorgenza della malattia in una fase molto precoce; dall' altro, abbiamo anche osservato in vivo, nel cervello del topo, l' efficacia del nostro anticorpo nel neutralizzare gli A-beta oligomeri proprio all' interno dei neuroni».
Per la prima volta, infatti, sono stati intercettati e neutralizzati sul nascere i singoli «mattoncini tossici» che formeranno le placche extracellulari di A-beta (l' attuale bersaglio terapeutico della malattia di Alzheimer), prima che questi provochino un danno neuronale irreversibile.
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Questa ricerca pone dunque le basi per lo sviluppo di nuove strategie utili per la diagnosi e la terapia di questa malattia neurodegenerativa. «Riuscire a monitorare la neurogenesi nella popolazione adulta offrirà in futuro un potenziale strumento diagnostico per segnalare l' insorgenza dell' Alzheimer in uno stadio ancora molto precoce, cioè quando la malattia è clinicamente pre-sintomatica.
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Inoltre - conclude Cattaneo - l' utilizzo terapeutico dell' anticorpo A13 permetterà di neutralizzare gli A-beta oligomeri dentro i neuroni, laddove si formano per la prima volta, colpendo così l' evento più precoce possibile nell' evoluzione della patologia».
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