Sergio Rizzo per La Repubblica
UMBERTO BOSSI E BELSITO
«Un partito può benissimo buttare i soldi dalla finestra, non è un reato». Parole di Umberto Bossi, cinque anni fa. Lo scandalo dei quattrini investiti in Tanzania da Francesco Belsito, tesoriere del partito e grazie a questo vicepresidente della società pubblica Fincantieri, faceva tremare il Carroccio. E il senatùr faceva spallucce. «I soldi non sono quelli dello Stato, ma quelli delle tessere dei militanti. E dei soldi della Lega la Lega può fare quello che vuole».
Peccato soltanto che i giudici non l' abbiano pensata allo stesso modo, così adesso sono guai. Con quei soldi non si potevano comprare obbligazioni africane, ciprioti o norvegesi, né acquistare diamanti, e neppure coprire le spesucce custodite nella cartellina intitolata The family, dove Belsito annotava diligentemente le uscite per i bisogni della real famiglia leghista.
FRANCESCO BELSITO E RENZO BOSSI jpeg
Bisogni salati, come i 158 mila euro contestati dai giudici a Riccardo, il figlio appassionato di rally: denaro usato, ha ricostruito l' Ansa, «per pagare anche il mantenimento dell' ex moglie, l' abbonamento alla pay tv, luce e gas» e la parcella «del veterinario per il cane», perfino. «Pensava fossero soldi di famiglia», è stata la giustificazione al processo. Ma non è servita e in primo grado si è beccato un anno e otto mesi.
Bossi, dunque, faceva spallucce. Mentre a Radio Padania i militanti schiumavano di rabbia e Roberto Maroni convocava la Lega delle scope, salendo sul palco a Bergamo con una ramazza verde nel gesto di fare pulizia. E Matteo Salvini minacciava «se qualcuno sbaglia, giù della finestra» ma non certo il vecchio leader. «Su di lui tutti sono pronti a mettere la mano sul fuoco», giurava. Accogliendo l' arresto di Belsito quasi fosse una liberazione: «Per fortuna è solo una brutta pagina, di un passato che non tornerà».
SALVINI E MARONI
Ora però quel passato presenta il conto, e le condanne inflitte a Bossi (due anni e mezzo) e Belsito (4 anni e dieci mesi) impallidiscono di fronte alla confisca di 48 milioni di euro. Il giudice non li ha chiesti a Belsito o a The family, ma alla Lega. Cioè al partito che adesso è di Salvini. Ci sarà il tempo per i ricorsi, gli appelli e la cassazione: non dubitiamo.
Ma intanto il problema esiste. E il capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga ha un bel ribadire: «Questa è una storia del passato, la Lega oggi è un' altra cosa». Perché se nel Carroccio oggi tutto è cambiato, al punto da far evaporare addirittura l' idea della secessione, quei 48 milioni rischiano di rappresentare una bella rogna.
Come i postumi pericolosi di una sbronza indimenticabile.
Che anni, quegli anni. I soldi arrivavano a fiumi, senza alcun controllo. Rimborsi elettorali, si chiamavano. E i fiumi ingrossavano senza limiti, impetuosamente, travolgendo anche le migliori intenzioni. Per le elezioni del 1996 la Lega Nord dichiarò spese equivalenti a poco più di un milione di euro, incassando rimborsi per 4,8 milioni. Un affarone. Dodici anni dopo, nel 2008, le spese elettorali dichiarate erano però salite a tre milioni e mezzo e i rimborsi, per l' intera legislatura, tenetevi forte, a quasi 38 milioni.
WALTER VELTRONI E SILVIO BERLUSCONI
I partiti nuotavano nell' oro. Tutti. Rifondazione comunista dichiarò di aver investito in campagna elettorale 2,7 milioni, per incassare 35 milioni e mezzo di rimborsi. Mentre il Partito democratico spendeva 18,4 e intascava 180,2 e il Popolo della libertà di Silvio Berlusconi stracciava ogni record, con una spesa monstre di 68,4 milioni che però gli avrebbe fruttato rimborsi per 206,5.
LUIGI LUSI E LA MOGLIE GIANNA PETRICONE
Anni d' oro, gli anni in cui si metteva su un partito nuovo, il Pd, lasciando in vita gli azionisti di maggioranza con i loro tesori intatti in pancia: salvo poi scoprire che l' amministratore della Margherita aveva fatto sparire una ventina di milioni.
Ed era appena una piccola parte dei quattrini affidati a Luigi Lusi in undici anni. Il totale ammontava infatti a duecentoquattordici milioni.
LUIGI LUSI IN SENATO IL GIORNO DEL VOTO SUL SUO ARRESTO jpeg
Erano gli anni delle leggine approvate in Parlamento con il voto di quasi tutti che facevano correre i rimborsi elettorali anche nei portafogli dei partiti morti, e pure nel caso di interruzione anticipata della legislatura. Con il risultato di far decollare fino a 300 milioni l' anno la bolletta dei rimborsi elettorali.
La Corte dei conti si sgolava da tempo immemore. «Almeno non chiamateli rimborsi», ammoniva. Lasciando intendere che la corda della decenza prima o poi si sarebbe spezzata. Però inutilmente.
FRANCO FIORITO
Accanto a quel fiume scorrevano poi altri torrenti, altrettanto impetuosamente. Nel 2012 di Belsito e Lusi scoppiò anche un terzo scandalo, e forse più rumoroso: quello dei finanziamenti ai gruppi politici delle Regioni. Quasi 100 milioni distribuiti a pioggia dalla Valle D' Aosta alla Sicilia, e utilizzati dai politici per acquisti voluttuari, auto fuoristrada, vacanze in resort di lusso, generi di gran conforto e gozzoviglie.
Il tutto senza che nessuno, prima di allora, avesse potuto metterci il naso. Anche quelle sono storie del passato e c' è solo da augurarsi che quel passato non ritorni mai più. Ma le sue tracce non si cancellano con la bacchetta magica. Ci sono i processi e le condanne eccellenti. E alla fine, i conti da pagare. Perché talvolta arrivano anche quelli.
LA JEEP DI FRANCO FIORITO SEQUESTRATA DALLA FINANZA