Alessandro De Angelis per https://www.huffingtonpost.it
BARBARA DURSO E NICOLA ZINGARETTI
Deve essere stato fatale il “ciao Nicola”, perché Barbara, con quell’aria un po’ così, nelle interviste dà del tu. “Ciao Nicola”, dopo duecento “ciao Matteo”, cento “ciao Giorgia”, mille “ciao presidente”. Si sa, da quelle parti, le gerarchie contano e c’è solo un presidente. È bastato a trasformare il trash, perché così era visto e non solo dai radical chic, in lode all’impegno democratico.
Udite udite Nicola Zingaretti, ancora alle prese col problema delle donne di sinistra ignorate per i ministeri, prossimamente penalizzate nei sottosegretari, nel tweet dell’elegia al berlusconismo televisivo in tacco dodici: “@carmelitadurso hai portato la voce della politica vicino alle persone. Ce n’è bisogno!”.
Più o meno quel che un paio di giorni fa le ha detto Rocco Casalino, che vent’anni fa, sulle stesse reti, mostrava le sue grazie dalla casa di Cinecittà, fornita di telecamere anche sotto le lenzuola: “Parli alla gente, i politici l’hanno capito e adesso fanno la fila per venire qui”. Che diavolo questo Rocco, è proprio l’incarnazione dello Zeitgeist, lo spirito del tempo, se poi, puntuali come un orologio, quelli che fanno la fila si mobilitano di fronte alla notizia che il programma può chiudere in anticipo.
MEME SUL SOSTEGNO DI NICOLA ZINGARETTI A BARBARA DURSO
Contrordine compagni, con buona pace dei commenti sulla pagina del segretario: “Ma è un fake?”, “Ma che t’hanno rubato la password”. C’è un Casalino fuori, quello vero, ma c’è un Casalino in ognuno di noi, anzi di loro: Concita è radical, e i radical hanno prodotto macerie, Barbara è popolare, non più populista, così vicina alla gente da essere contagiosa, rendendo vicino alla gente anche chi chiude le sezioni.
Lasciamo stare Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer, il Novecento, i libri, il dibattito, l’analisi della sconfitta, la critica e l’autocritica, i maitre a penser non catodici, il rigore, il valore del silenzio. Dimmi tu, si sarebbe detto, se in una giornata come questa, tra terza ondata, vaccini che non ci sono, aperure, chiusure e ristori, non hai niente di meglio da fare che occuparti di un qualunque programma televisivo, di questo poi, con tutto il rispetto.
MEME SUL SOSTEGNO DI NICOLA ZINGARETTI A BARBARA DURSO
Epperò qualcosa, se accade, vuol dire. E vuol dire che, detta con un po’ di brutalità, Zingaretti, forse comprensibile dopo la botta, è entrato nella fase in cui non azzecca più una giocata. L’intergruppo, annunciato come frontiera di resistenza dell’alleanza gialloverde nella nuova fase, è durato lo spazio di un mattino.
La candidatura di Gualtieri a Roma, a capo della medesima coalizione, lo spazio di un post in cui Beppe Grillo ha annunciato il sostegno alla Raggi. La parità di genere, ignorata sui ministri e riproposta sui sottosegretari, lo spazio di una trattativa in cui sono ricomparse massicce dosi di testosterone.
L’ultima riguarda il congresso che fanno finta di volere coloro che, in fondo, sono impegnati a rimandare le amministrative a causa della pandemia. Perché non è un mistero nei Palazzi della politica che il rinvio della tornata elettorale è all’ordine del giorno. E se la pandemia congela il voto nelle urne è logico pensare che congeli anche il voto nei gazebo e un congresso senza popolo è difficilmente praticabile. È, semplicemente, l’ennesima manovra diversiva per eludere una discussione vera su quanto accaduto. Ovvero il collasso dell’esperienza di governo e, con essa, il fallimento dell’ipotesi strategica su cui ha puntato il Pd negli ultimi due anni: l’alleanza politica con i Cinque stelle, anzi la trasformazione dell’alleanza in una “coalizione politica”.
MEME SUL SOSTEGNO DI NICOLA ZINGARETTI A BARBARA DURSO
Diciamo le cose come stanno: la nascita del governo Draghi segna il punto più alto di imperizia politica raggiunto dalla sinistra negli ultimi lustri, forse anche peggio del Conte 2, quando si passò dal “mai” con i Cinque stelle al governo con loro abdicando alla discontinuità, per poi diventare, gli alfieri della governabilità per la governabilità.
Perché poi, va a finire sempre così: incapace di dirigere gli eventi, il Pd è sempre “costretto” ad accettarli, per poi diventare il baluardo della governabilità una volta rientrato nei ministeri “Governo con Salvini? Neanche se a guidarlo arriva Superman”, diceva Andrea Orlando che del governo con Salvini guidato da Draghi avrebbe poi giurato da ministro del Lavoro.
Neanche fosse un film: il partito che subisce i governi, entra a farne parte senza mai festeggiare. La chiamano “responsabilità” questa prassi per cui tutto si piega e si addomestica senza un rapporto di verità con gli elettori. E la chiamano unità, mai vissuta come un mezzo per realizzare un fine, ma diventata fine essa stessa di questa paralisi in cui non si anticipa mai nulla un minuto prima, ma ci si mette d’accordo tra capicorrente il minuto dopo.
IL TWEET DI NICOLA ZINGARETTI A DIFESA DI BARBARA DURSO
E intanto quell’alleanza famosa non c’è a Roma, non c’è a Milano, chissà a Torino e Bologna, forse a Napoli se Fico accetta la candidatura, non in Calabria dove i Cinque stelle si sono liquefatti e il candidato del Pd è un giovane della corrente cosiddetta riformista.
Non c’è, ma il congresso per tenerla viva, in attesa di elaborare il lutto, viene agitato come un totem nel gioco delle correnti, in un partito sull’orlo dell’implosione: gli ex ministri che, confabulando tra loro vivono palazzo Chigi neanche fosse la Moneda dopo il golpe Cileno, i prossimi ex sottosegretari come vipere pronte a iniettare il proprio veleno, gli amministratori in rivolta contro la logica correntizia, che è poi il segnale più indicativo, perché sono coloro più a stretto contatto con la gente (ricordate quando nello stesso giorno, negli stessi territori, alle europee vinse la Lega e alle amministrative il Pd?). A proposito di politica vicina alle persone. Se non ci fosse la pandemia, che tutto congela in attesa del vaccino, la pugna sarebbe già iniziata, e non come gioco tattico.