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    QUALCUNO DICA A PEPPINIELLO CHE SE CADE DRAGHI L'ITALIA FINIRA' AL CENTRO DELLA TEMPESTA FINANZIARIA PERFETTA – SENZA “MARIOPIO” SI BLOCCHEREBBE IL PIANO DI RIFORME (VEDI LA LEGGE SULLA CONCORRENZA) E QUINDI LA GARANZIA DELLA SECONDA RATA DI QUEST'ANNO DEL RECOVERY PLAN – NON CI SAREBBE POI IL TEMPO MATERIALE PER APPROVARE ENTRO IL 15 OTTOBRE LA FINANZIARIA (ECCO PERCHÉ MAI, IN TUTTA LA STORIA REPUBBLICANA, SI È VOTATO IN AUTUNNO…) – SENZA CONTARE CHE DA QUI ALLA FINE DELLA LEGISLATURA L'ITALIA DEVE VENDERE SUI MERCATI CIRCA 350 MILIARDI DI DEBITO PUBBLICO…


     
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    Alessandro Barbera per “La Stampa”

     

    MARIO DRAGHI - MURALE BY TVBOY MARIO DRAGHI - MURALE BY TVBOY

    L'unica certezza della crisi più surreale della storia repubblicana è nella lista delle cose che non possono attendere la sua soluzione. Nonostante si dia per certo l'arrivo degli scatoloni, a Palazzo Chigi la prossima settimana sono già convocati due nuovi incontri con sindacati e imprese per definire il decretone anticrisi di fine mese.

     

    Il paradosso vuole che Mario Draghi sia nella pienezza dei suoi poteri, e tale rimarrà fino all'eventuale decisione di Sergio Mattarella di sciogliere le Camere. Comunque andranno le cose, il Quirinale vuole che il governo metta a disposizione i dieci miliardi necessari a evitare il peggio in autunno agli italiani.

     

    Ciò che invece in caso di elezioni si dovrà interrompere è il processo del piano nazionale delle riforme. La legge sulla concorrenza, approvata con grande fatica alla Camera e ora in discussione al Senato verrebbe meno, e con essa la garanzia della seconda rata di quest'anno del Recovery Plan. Se per ipotesi si andasse a votare in settembre, sarebbe teoricamente possibile il sì alla legge, non ai decreti di attuazione richiesti dalla Commissione europea per ottenere il finanziamento.

    tweet sulla crisi del governo draghi 1 tweet sulla crisi del governo draghi 1

     

    E poi c'è la Finanziaria. La legge sul bilancio dello Stato dice che va approvata entro il 15 ottobre: non ci sarebbe il tempo materiale per farla votare né dal nuovo governo, né sarebbe possibile lo faccia il governo dimissionario. Questo spiega come mai, in tutta la storia repubblicana, non si sia mai votato in autunno.

     

    La conseguenza più probabile sarebbe l'apertura di una trattativa con l'Unione europea e una corsa contro il tempo per evitare l'esercizio provvisorio: il termine tassativo è quello del 31 dicembre.

     

    Più dell'evento in sé, il rischio più grosso di una crisi aperta in estate è nella concatenazione degli eventi. La prossima settimana la Banca centrale europea varerà il primo aumento dei tassi da dieci anni a questa parte.

     

    Nella stessa riunione i diciannove governatori delle banche centrali dell'area euro sono chiamati a discutere dello strumento tecnico grazie al quale evitare che la nuova stagione dei tassi coincida con una divaricazione fra i rendimenti dei Paesi con i conti pubblici più solidi e quelli il cui debito pubblico più alto.

     

    MARIO DRAGHI URSULA VON DER LEYEN MEME MARIO DRAGHI URSULA VON DER LEYEN MEME

    Non solo l'Italia, la Spagna, Grecia e Portogallo, ma anche la Francia di Emmanuel Macron, che durante la pandemia ha sfiorato il cento per cento in rapporto alla ricchezza prodotta. Di qui alla fine della legislatura l'Italia deve vendere sui mercati circa 350 miliardi di debito pubblico. Se - come probabile - la crisi aumentasse la sfiducia verso l'emittente Italia, i tassi di interesse necessari a finanziare l'Italia salirebbero ben oltre i livelli attuali, già superiori al tre per cento.

     

    Più che uno scenario simile a quello del 2011, scongiurato dalla mole di titoli in possesso della Banca centrale europea, i tecnici di Tesoro e Palazzo Chigi immaginano quello del 2018, quando i dettagli del contratto di governo fra Lega e Cinque Stelle fecero schizzare lo spread fra Btp e Bund oltre i 350 punti.

     

    mario draghi charles michel ursula von der leyen mario draghi charles michel ursula von der leyen

    La conseguenza più insidiosa della crisi non è nell'incertezza politica italiana, ma nel suo intrecciarsi a quella internazionale. Nell'incontro di questa settimana con Draghi, il leader degli industriali Carlo Bonomi ha sottolineato il rischio slavina che potrebbe essere innescato da uno stop duraturo di Mosca al gas esportato verso la Germania, la cui dipendenza è più grave di quella italiana.

     

    Se si fermasse la locomotiva tedesca, Bonomi teme conseguenze gravi sulle imprese esportatrici del Nord. L'assenza di un governo nel pieno dei poteri lascerebbe il Paese scoperto al ricatto di Putin, né il governo dimissionario sarebbe nelle condizioni di approvare tutte le misure fin qui introdotte: da quelle per accelerare gli stoccaggi, né quella per diversificare le fonti di approvvigionamento.

     

    Solo un esecutivo nel pieno dei poteri può decidere le sorti dei nuovi rigassificatori o gestire la decisione di riprendere le trivellazioni nei mari italiani.

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