Estratto dell'articolo di Federica Venni, Marina De Ghantuz Cubbe per “la Repubblica”
UFFICI E CORONAVIRUS
Se la scrivania è vuota, c'è chi si inventa di ospitare il collega di un'altra azienda. Se a essere deserti sono interi piani, i rimedi - quando si trovano - diventano più radicali. Ma quando l'abbandono riguarda interi centri direzionali, provare a ripopolarli è un'impresa titanica.
Milano, Roma, Napoli: ora che lo smart working non è più una soluzione d'emergenza ma una prassi irreversibile, viaggiando tra i grandi headquarters progettati per ospitare migliaia di lavoratori, l'immagine che restituiscono è quella di giganti ormai sproporzionati: semivuoti, spesso troppo costosi da mantenere e con i negozi o i centri commerciali costruiti attorno che rimpiangono il via vai dei lavoratori o le affollate pause pranzo.
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A Milano, nei grattacieli simbolo della frenesia produttiva pre Covid, gli inquilini stanno cambiando pelle. Gli uffici, impoveriti dai turni di lavoro casalingo, cercano un modo per tornare a vivere.
Nel quartiere di Porta Nuova, ad esempio, dove svettano i nomi delle grandi banche, Unicredit, che ha la sua iconica sede in piazza Gae Aulenti, sta per subaffittare una delle due Torri, la B: 100 metri di altezza per 21 piani di 800 metri quadrati l'uno dove lavoravano 1.500 dipendenti.
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Ma se questo tipo di edifici, comunque dislocati nel centro della città, riescono a rifunzionalizzarsi, il vero problema sono i palazzoni dell'hinterland o delle periferie. Costruiti come quartieri-ufficio oggi appaiono così: piccole città fantasma, da cui sono scappati praticamente tutti e in cui i pochi servizi commerciali che c'erano hanno abbassato la saracinesca.
CITY LIFE A MILANO
«Ci sono migliaia e migliaia di metri quadrati vuoti», spiega Emanuele Barbera, presidente del gruppo Sarpi Immobiliare che proprio su questo tema ha sviluppato una ricerca: «La domanda da porsi ora è come rivitalizzare queste aree, completandole con servizi nuovi, dalla palestra agli asili, per renderle di nuovo attrattive».
Certo, con la fine dello stato d'emergenza molte sedi si ripopolano, ma quel "non sarà più come prima" a lungo teorizzato è ormai una realtà tangibile: la Torre Allianz, nello scintillante quartiere di City Life, ha circa il 66 per cento dei dipendenti in smart working, mentre Generali, che ha sede nel grattacielo accanto, riaccoglie i dipendenti per due giorni a settimana.
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Con la fine dello stato d'emergenza e il rientro in ufficio, ora i lavoratori continuano a lavorare da casa in media 10 giorni al mese, anche se il fenomeno, nella Capitale, è molto frastagliato: si passa dalla Rai, in cui in questi giorni c'è stato un ritorno alla situazione pre Covid («frettolosa e senza alcuna riorganizzazione degli spazi », secondo il sindacato), all'Enel che ha il suo quartier generale di viale Regina Margherita vuoto per ristrutturazione. A Napoli, il conto più salato per lo smart working lo paga il Centro direzionale (Cdn) che sorge al confine con Poggioreale.
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La cittadella da 4,5 milioni di metri cubi di uffici si è svuotata con la pandemia: un colpo ulteriore per un luogo mai realmente decollato, segnato già prima del Covid dalla dismissione di sedi importanti come le due torri Enel o gli edifici della Tim. La scritta "fittasi" su un grattacielo nell'isola C è ormai scolorita. E, senza impiegati, se la passano male negozi, bar e ristoranti: «Dal 2020 - dice il titolare di "Mimì Gi" - il calo è dell'80 per cento». Una delle multinazionali al Cdn è scesa da 2.200 a 350 dipendenti in sede.
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