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    IL LUPO MANNINO - CALOGERO SI DIFENDE: “LA PROCURA DI PALERMO MI TIENE NEL MIRINO DAL ’93. E ALLORA MI ARRIVARONO DELLE MINACCE DI MORTE” - “NON HO MAI AVUTO RAPPORTI CON DI MAGGIO, E NON POSSO AVER CHIESTO IL CARCERE ‘DOLCE’. IO STESSO, DA PIÙ DI UN ANNO, VOLEVO CHE FOSSE DATA UNA RISPOSTA FORTE ALLE STRAGI DI MAFIA” - “NON HO PARLATO DI CIANCIMINO CON GARGANI. SIAMO UOMINI POLITICI: SAREMMO ANDATI A PARLARNE AL BANCONE DEL BAR GIOLITTI?”...


     
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    Liana Milella per "la Repubblica"

    CALOGERO MANNINOCALOGERO MANNINO

    Teorema senza prove. Calogero Mannino, chiuso nel suo ufficio alla Camera, dei pm di Palermo dice: «Mi tengono nel mirino dal ‘93».

    Si aspettava la richiesta di rinvio a giudizio?
    «Annunciato l'avviso di garanzia, ho intuito il passo seguente. Pensavo mi chiamassero, questi pm, e avrei dato il contributo della mia memoria sul prologo e l'epilogo di quelle vicende del ‘92. Con sbalordimento registro che, da parte lesa, visto che Cosa nostra voleva uccidermi, mi accusano per un'ipotesi di reato che non ha precedenti».

    giuliano guazzelligiuliano guazzelli

    A Palermo scrivono che la trattativa è partita da lei.
    «Mi dicano e mi provino quando, come, dove, e con chi, l'avrei indotta. Il resto è solo un sospetto artificioso».

    Non attivò il canale del Ros attraverso Guazzelli?
    «Le minacce di morte in quel tempo non riguardavano solo me, ma pure Di Pietro, Grasso e altri magistrati. Poi i politici, Mattarella, Martelli, Andò, Vizzini, e altri ancora. Io non ho attivato alcuno. Parlando con Guazzelli, come risulta dai verbali del processo per 416bis che ho subito e da chi sono stato assolto, non gli ho sollecitato iniziative a mia tutela presso il Ros».

    omicidio guazzelliomicidio guazzelli

    Di che ci parlò?
    «Mi chiese che strada ero solito fare per recarmi da Palermo ad Agrigento o a Sciacca. Era preoccupato per ipotesi di attentati col tritolo nelle gallerie. Gli chiesi scherzando: "Dopo Lima vogliono ammazzare pure me?". Quando uccisero Guazzelli a Menfi, in attesa di Cossiga, parlai con Borsellino e gli riferii il colloquio».

    Perché nel '93, al vice direttore delle carceri Di Maggio, chiede di attenuare il 41 bis per i mafiosi?
    «Non esiste. Non ho mai avuto rapporti con Di Maggio. Il suo autista è già stato interrogato al processo Mori e ha fatto flop, la testimonianza è finita in una risata del tribunale e del pubblico».

    falcone e borsellinofalcone e borsellino

    Nega d'aver mai chiesto il carcere dolce?
    «È impossibile perché io stesso avevo sostenuto un anno prima, quando si discusse del decreto Andreotti sul carcere duro, che i dubbi di costituzionalità fossero superati per dare una risposta forte dello Stato alle stragi. Se avessero lasciato testimoniare liberamente Gargani, relatore di quelle misure, avrebbe ricordato una mia testuale affermazione, "lo dobbiamo approvare per Falcone e Borsellino". Il 4 agosto il decreto passò».

    MARIO MORIMARIO MORI

    Un anno dopo poteva pur chiedere di ammorbidirlo.
    «La storia si fa con i fatti. Voltaire diceva "un fatto è un fatto": io ho sostenuto e approvato quel 41bis. Stasera Riina e Provenzano faranno un bel brindisi ad Ingroia che li porta a processo insieme a Mannino, a Mori e Subranni».

    Vito Ciancimino, ex sindaco di palermoVito Ciancimino, ex sindaco di palermo

    Lei incontrando Gargani, gli dice che Ciancimino sta parlando e che quindi siete messi male.
    «Con Gargani ci siamo visti al bar Giolitti e non abbiamo avuto quella conversazione. Semmai occorresse una prova l'affiderei a una domanda. Due deputati che hanno 40 anni di vita politica, per confessare colpe o timori, hanno bisogno di andare al banco del bar Giolitti e raccontarselo mentre prendono il caffè?».

    Non gli ha mai detto «questi ci fottono »?
    «Gli dissi "questi magistrati vorrebbero fotterci con delle fantasie". Non avrei mai potuto dire "Ciancimino ha ragione". Io sono il politico che al congresso di Agrigento dell'83 ha messo fuori dalla Dc Vito Ciancimino. Quindi non potrei mai e poi mai affermare che il figlio racconta la verità».

     

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