Antonio Castro per Libero Quotidiano
Con queste "non regole" è addirittura meglio aspettare ad riaprire.
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Dopodomani, lunedì 18 maggio - secondo la tabella di marcia indicata dal governo - bar, ristoranti, centri commerciali e piccole botteghe artigiane potrebbero riaprire al pubblico. Ma c' è chi sta riflettendo se non sia meglio rimanere con la serranda abbassata: per non incappare in multe (come è successo a Milano ai ristoratori che manifestavano), per capire bene le regole di ingaggio (che ancora non ci sono), per evitare che un danno economico possa trasformarsi in un massacro. Il pasticcio dei regolamenti confusi si è esteso pure alle responsabilità di eventuali contagio.
L' Inail aveva diffuso una circolare che imputava alle imprese la "responsabilità di contaminazione". È scoppiato un putiferio. Tanto che la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha riconvocato i vertici dell' Inail per sterzare sugli automatismi e definire che «nei casi di infezione da Covid-19 in occasione di lavoro, non discende automaticamente la responsabilità del datore di lavoro». Insomma, l' esatto opposto di quanto definito solo qualche ora prima.
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PASTICCIO DIRETTIVA INAIL «Non si fa così», attaccano i rappresentanti di Confcommercio riferendosi alle "bozze " delle direttive che cominciano confusamente a circolare a meno di 72 ore dalla riapertura». Direttive vaghe, protocolli o linee guida confuse che cambiano da regione a regione, da città a città. Tutto questo per «ridurre il rischio di contagio nel settore», ma poi bisogna declinare in base al proprio ambito di «esercizio», le diverse tipologie di intervento facendo coincidere un puzzle di linee guida nazionali con le indicazioni regionali e locali.
Una gimcana regolamentare che ha fatto imbestialire l' associazione di Piazza Belli: «Centinaia di migliaia di imprese attendono con urgenza una risposta», conclude la nota della Confederazione.
Sulla stessa lunghezza d' onda (e di esasperazione), anche Confesercenti: «La Fase 2 sta diventando un vero e proprio caos normativo», scandisce, «una condizione resa ancora più difficile dal' arrivo di nuove, pesanti, sanzioni che si aggiungono a responsabilità civili e penali. Così per le imprese sarà sempre più complicato riaprire».
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Pure le piccole attività artigianali si lamentano del pasticcio che sta saltando fuori. Nella Capitale, ad esempio, «pizzerie al taglio, pasticcerie, gelaterie dovranno chiudere alle 21,30». Questo perché «nella fase di chiusura furono considerate ristorazione (come i bar e i ristoranti) e quindi chiuse, nella fase di riapertura non sono più ristorazione ma equiparate al commercio, quindi con chiusura alle 21,30 a differenza dei bar e ristoranti che non hanno orari».
Il paradosso è che per chiudere milioni di aziende c' è voluto un momento. A due mesi di distanza per riaprire salta fuori che nessuno abbia pensato ad un regolamento con istruzioni chiare e fattibili. E viste le carenze di alcuni beni (mascherine, gel, visiere ecc), si rischia di poter formalmente esercitare il diritto di libero commercio, senza poterne avere la possibilità concreta. Rischiando peraltro di incappare in sanzioni e multe.
L' ALLARME «La situazione è drammatica», spiega stringato Mario Resca, presidente di Confimprese, «perché non ci sono provvedimenti per il settore del commercio. La nuova manovra è stata annunciata ma non approvata e il governo anziché sostenere la ripresa del commercio e dei consumi fa di tutto per affossarli».
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Manca una strategia, non «c' è liquidità, le banche non aprono l' ombrello nel momento del bisogno, la merce è contingentata e rimane in stock, le spese di gestione da sostenere sono elevate». Come se non bastasse «le aziende continuano a pagare gli affitti (sono escluse dal credito d' imposta sui canoni per gli immobili commerciali l' 85% delle imprese che hanno un fatturato superiore a 5 milioni). Esclusione che mette a rischio il 35% dell' occupazione nel commercio al dettaglio (600mila addetti). «In queste condizioni», avverte esasperato, «non ha senso aprire i negozi per vendere il 30%». Confimprese ha effettuato un sondaggio tra gli associati: «Oltre la metà delle grandi catene food e ristorazione, non è d' accordo sulla riapertura anticipata dei locali con le attuali misure di distanziamento sociale: il 52% contro il 48%». E se le imprese non riapriranno le settimane di Cig più o meno in deroga qualcuno dovrà sborsarle...
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