Quirino Conti per Dagospia
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Quanto a spropositi, pur di stupire e suscitare attenzione, la Moda davvero non si è mai fatta parlare dietro.
Ma dal “créateur” solitario, divo e monarca assoluto, al triste “scambista” in cerca di partner pur di mutare clima alla noia di ménage – fra produttore e stilista – ormai logori, bene, il salto stavolta è stato davvero arrischiato.
Dunque, ci si è scambiato il marchio. E al buio, in una notte di passione, Fendi si ritrovò tra le braccia Donatella Versace e questa il bel pasciuto nuovo autore del marchio franco-romano.
Quello che ne è venuto? Come per gli scambisti, una gran confusione con relativo mal di testa a copula troppo frettolosamente conseguita. Insomma, un pasticcio stilistico dove quello che la sparava più grossa – stampe e meduse vs. la storica “F” – si riconosceva con più facilità.
saint laurent
Ma poi basta con queste trovatine vecchie come il cucco. Qualcuno, forse, ricorda ancora il gran parlare a suo tempo (i primi anni ’60) dell’abnorme sodalizio sentimentale e professionale tra una principessa romana (Simonetta Colonna Romano di Cesarò, sposata Visconti di Modrone) e un aitante sarto (Alberto Fabiani), ottimo tagliatore e possente scultore del cosiddetto “pesante”? Ne derivò per lei un tale stress che per riprendersi dopo il divorzio finì in India in un misticissimo ashram.
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Cose dunque viste e straviste. Il cui unico risultato – compreso il recente omo-scambismo tra Balenciaga e Gucci – altro non ha procurato che l’interesse interessato della Wintour e di un crepitante clan di checchine, appassionate collezioniste di scarpe. A proposito delle quali (le scarpe) sorprendentemente Parigi ne diventa leader incontrastata; sostituendo a quella classica da “piedino” (antiquata tecnica seduttiva, sembrerebbe in disuso), scarponacci e consimili per un nuovo “piedone”; con evidente rischio di fratture alla tibia o al perone.
Infine, per quanto trascinate in calendari forzosamente allungati come minestrine ospedaliere e quindi insipide, le collezioni (“in presenza” o virtuali).
Superba comunque la Balenciaga di Demna Gvasalia: seppure su creature ibride e inquiete appena dissotterrate da un ossario oltrecortina. Più umana Saint Laurent, filologica e sensuale. Ma il colmo della grazia è in un cartoon ancora di Balenciaga. Con i Simpson a raccontare il logo.
delfina delettrez, silvia venturini fendi, kim jones, fendi
Che sia questa trovata una svolta? Irridente e fumettistica. Tanto la realtà in questa stagione si è come ormai vaporizzata.
Colpa anche dei video (la collezione di John Galliano per Maison Margiela e quella di Dries Van Noten, ad esempio), nei quali cineasti volenterosi hanno preso il sopravvento su qualsiasi comunicazione di Stile. Tanto al buio tutti i gatti sono neri. E arrivare a sapere cosa si vuole proporre è ormai questione da paragnosta.
Ah, Parigi, Parigi: che prometti sempre e non mantieni più… Persino Maria Grazia Chiuri, da Dior, è divenuta più saggia e meno verginale. Citazionista ripescatrice della Roma degli anni ’60. Ma Lei è così: reazionaria e zuccherosa, quindi femminista con il pugnale tra i denti.
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Chanel? La solita pappa. I suoi tiratissimi proprietari hanno confuso la genialità di Karl Lagerfeld con surgelati da freezer: da scaldare e servire al momento. E così, mentre da Fendi si veniva a costituire un trittico di particolare efficienza (Kim Jones, il nuovo arrivato ben in carne, Silvia Venturini Fendi, l’unica autrice, fra tanti velleitari autocrati, della eternamente redditizia baguette, e Delfina Delettrez per la preziosa gioielleria), in casa di Mademoiselle, per taccagneria si è voluto andare avanti con Virginie Viard, l’assistente, certo operosa, dell’egotico trapassato. E così rischiando la noia (stavolta – nonostante gli intriganti video realizzati da Inez & Vinoodh con Lily-Rose Depp, Alma Jodorowsky & C. – tutto era persino più noioso di sempre).
Tutt’altra musica, invece, da Louis Vuitton: che al Passage Richelieu del Louvre, sotto un cielo di cristalli, toglieva il sonno con forme e decori mai tanto destabilizzanti. E anche qui con una certa forma di scambismo: ma questa volta con un partner segreto, presente come una grande ombra su tutto: il castigato John Galliano (l’ex-Dior, bandito – per sempre? – e assolutamente innominabile nel Gran Serraglio LVMH di Bernard Arnault).
Per il resto, a risanare dagli sbadigli, una gloriosa connazionale: Miuccia Prada, che con questa Miu Miu è lei a dettare il nuovo decalogo dello Stile. Vita bassissima, gonnellini letteralmente inguinali, o, al loro posto lunghezze asciutte o scosse da pieghe. Al cuore di tutto – quasi un tardivo hommage all’ormai santa Raffaella Carrà – un netto revival dell’ombelico al vento.
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Bella, semplice, umana. Per la nostra Miuccia, qui senza Raf Simons al fianco, un’altra vittoria.
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