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    CONDANNATO A 27 ANNI IL MANAGER DI UNA MULTINAZIONALE, IL MESSICANO JAIME MOISES RODRIGUEZ DIAZ, CHE IN PROVINCIA DI MILANO STRANGOLÒ LA MOGLIE DOPO UNA DISCUSSIONE SUGLI ORIENTAMENTI SESSUALI DEL FIGLIO, CHE LUI TEMEVA FOSSE GAY - DOPO AVER UCCISO LA DONNA, TENTÒ DI ELIMINARE ANCHE IL FIGLIO, STROZZANDOLO CON UNA CINTA - A SALVARE IL RAGAZZO, GLI ALTRI DUE FRATELLI INTEVENUTI A SUA DIFESA - RODRIGUEZ DIAZ HA TENTATO DI DEPISTARE LE INDAGINI SOSTENENDO CHE LA MOGLIE SAREBBE MORTA PERCHÉ NON SAREBBE STATA IN GRADO DI CONTROLLARE UN'AUTO IPNOSI CHE SI ERA PRATICATA…


     
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    Giuseppe Guastella per il “Corriere della Sera - Edizione Milano”

     

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    Non accettava quel figlio che secondo lui era omosessuale. Tante, troppe volte la sua rabbia cieca era esplosa contro la moglie finché ha strangolato lei e ha tentato di fare lo stesso con il ragazzo. È un quadro di anaffettività, di violenza, di prevaricazione di un padre sull'intera famiglia ad emergere dalla requisitoria del pm Giovanni Tarzia al processo in cui un messicano di 42 anni, manager di una multinazionale, è stato condannato a 27 anni di carcere.

     

    Non basta definirlo un marito e padre violento, Jaime Moises Rodriguez Diaz vuole, secondo il quadro tratteggiato dal pm, e voleva sempre imporsi sugli altri. Soprattutto sulla moglie Silvia Susanna Villegas Guzman e sui loro tre figli, due minorenni. Uno di loro ha detto che il padre è solito usare ogni di violenza, fisica e non, per fare «in modo che gli altri abbiano paura o timore» e «dimostrare la sua superiorità».

     

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    Lo ha fatto, dice la sentenza di primo grado che l'imputato potrà appellare, saltando al collo (pratica che avrebbe usato molte volte) della moglie, spiega il pm Tarzia chiedendo l'ergastolo per omicidio, tentato omicidio e lesioni alla Corte d'assiste presieduta da Ilio Manucci Pacini che, martedì scorso, ha condannato Rodriguez Diaz anche a 5 anni di libertà vigilata e a provvisionali tra i 100 e i 200 mila euro ai figli.

     

    L'uomo il 19 giugno si era svegliato nella casa di Arese con il pensiero fisso alla discussione della sera prima con la moglie sull'orientamento sessuale del ragazzo.

    Voleva cacciarlo di casa. Forse non aveva neppure dormito per la rabbia, per tre volte era entrato minaccioso nella stanza del ragazzo stringendo nervosamente tra le mani una cinta di stoffa, finché alle sei del mattino lo ha terrorizzato: «Ho già ucciso tua madre, ora uccido te».

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    L'aveva fatto, l'aveva strangolata nel letto ed ora voleva fare lo stesso con quel figlio che non avrebbe mai voluto avere ed al quale ora gira due volte la cinta intorno al collo. Il ragazzo perde i sensi, si accascia, ma ad un passo dalla morte sono i due fratelli a salvarlo riuscendo a costringere il padre ad allentare la presa per poi precipitarsi a tentare inutilmente di rianimare la madre e, mentre l'uomo impugna un coltello da cucina, a chiamare aiuto. Sarà arrestato dai carabinieri. «Poteva ucciderci tutti», dirà uno dei ragazzi al processo.

     

    Lo stesso in cui, ricorda Tarzia, Jaime Moises Rodriguez Diaz non ha mostrato neppure «un minimo di resipiscenza» per ciò di cui è accusato e per le violenze che andavano avanti da anni, anche quando fino a sette mesi prima la famiglia era ancora in Messico. Rodriguez Diaz, afferma il pm, di fronte ai giudici sarebbe caduto in numerosissime contraddizioni facendo «dichiarazioni inverosimili», nonostante le prove.

     

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    Come quando ha sostenuto che la moglie sarebbe morta perché non sarebbe stata in grado di controllare un'auto ipnosi che si era praticata per lenire le preoccupazioni che le dava il figlio, oppure l'altra con cui ha detto che non aveva tentato di uccidere il figlio, ma solo «calmarlo» stringendogli la cinta al collo mentre si difendeva da lui. Con il coltello non voleva fare del male ai figli ma uccidersi, così la famiglia, o ciò che ne restava, avrebbe ottenuto i soldi dell'assicurazione sulla sua vita. Non lo ha fatto, si è solo praticato qualche taglio superficiale alle braccia.

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