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Elena Molinari per ''Avvenire''
rio grande confine messico usa
Un leggero calo nel numero di nuovi contagi quotidiani non alleggerisce l'emergenza coronavirus negli Stati Uniti, alle prese con nuovi focolai nelle zone rurali, al confine meridionale e in contee finora risparmiate dal virus. Si tratta della «diffusione straordinaria» e della «nuova fase» della pandemia di cui ha parlato l'immunologa Deborah Birx, che si è per questo attirata le ire di Donald Trump. Il presidente ha definito «patetica » la coordinatrice della task force della Casa Bianca sul virus, che era finora stata attaccata da altri scienziati per la sua visione «troppo rosea» della crisi.
I quasi 48mila nuovi casi registrati negli Usa in 24 ore, con 515 morti, restano concentrati in alcuni Stati già duramente colpiti e fra i primi ad aprire dopo il lockdown, come Florida, Alabama, Texas e Georgia, ma si sta espandendo a zone più centrali del Paese, come Mississippi, Oklahoma, Tennessee e Indiana. Qui le autorità locali sono alle prese con il rischio di riaprire le scuole (previsto già per metà agosto) in condizioni che insegnanti e genitori giudicano assolutamente inadeguate.
«Riaperture? Sarebbe prudente valutare in che fase di intensità si trovano i singoli Stati », ha detto ieri, cautamente, il capo delle emergenze sanitarie dell'Organizzazione mondiale della sanità, Mike Ryan, mentre in decine di contee gli insegnanti sono scesi in piazza contro un rientro in classe affrettato. Intanto il Messico, dove la pandemia ha già fatto più di 47.700 vittime, ha deciso che l'anno scolastico comincerà il 24 agosto, ma a distanza. Le lezioni saranno trasmesse infatti via radio e tv, gli unici mezzi, stando al ministro dell'Istruzione Esteban Moctezuma, capaci di raggiungere tutti i 30 milioni di studenti, molti dei quali vivono in zone prive di internet e computer.
Il Messico, che ha rilevato quasi 5mila casi di coronavirus nelle ultime 24 ore, ha registrato un nuovo record di infezioni giornaliere sabato scorso (9.556), quando ha superato il Regno Unito in termini di decessi, diventando il terzo Paese al mondo per numero di morti dopo gli Stati Uniti e il Brasile. Sono in effetti particolarmente preoccupanti i focolai di infezione da coronavirus che si sono sviluppati su entrambi i lati del confine con il Messico. Negli Stati Uniti la Valle del Rio Grande sta vivendo una vera emergenza sanitaria, facendo da triste specchio a un'analoga crisi che sta decimando i villaggi dove si ammassano in condizioni di fortuna gli emigrati centroamericani in attesa di presentare domanda di asilo negli Usa.
Casi e decessi sono aumentati in tutto il Texas poco dopo la riapertura dello Stato decretata il primo maggio scorso. Infatti, lungo il Rio Grande, gli ospedali sono allo stremo, i cadaveri giacciono per giorni in container trasformati in obitori mobili e le casse funerarie sono prenotate fino alla fine di agosto. Nella valle, oltre il 90 percento dei residenti è ispanico, prevalentemente di origine messicana, metà della popolazione ha un reddito pro capite compreso tra 14mila e i 16mila dollari, meno della metà della media nazionale, e due terzi non hanno assicurazione sanitaria: tutti fattori che aumentano il rischio di ammalarsi e di morire di coronavirus.
Intanto, dall'altra parte del fiume - dove ogni mese l'Amministrazione Trump invia, grazie al sistema di «espulsione rapida» dai 20mila ai 30mila immigrati che tentano di attraversare il confine - migliaia di persone sopravvivono in tendopoli di fortuna. Qui il coronavirus è solo una delle minacce quotidiane, oltre alle condizioni igieniche precarie e al livello crescente dell'acqua dello stesso Rio Grande, che è montato di quasi 4 metri in seguito al passaggio dell'uragano Hanna, inondando le terre.
cartelli della droga e coronavirus in messico 6
Ciò nonostante, il numero di immigrati arrestati dalle guardie frontaliere americane lungo il confine con il Messico è salito del 40 per cento a giugno, ultimo mese per il quale esistono dati certi. I nuovi arrivati sfidano le misure d'emergenza volute dal presidente Usa che ha citato la pandemia come motivo per bloccare le domande di asilo o deportare rapidamente coloro che entrano illegalmente nel Paese. Gli oltre 32mila arresti di giugno rappresentano il doppio dei fermi fatti dalle autorità ad aprile.
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