GREEN PASS
Alessandro Rico per “La Verità”
«Finalmente ci troviamo tra esponenti di diversi saperi di settore che si confrontano». Il giurista Alessandro Mangia coglie il senso dell'audizione sul green pass svoltasi ieri in Senato: abbandonati lessico di guerra e nostalgie per Bava Beccaris, gli esperti hanno potuto offrire alla commissione Affari costituzionali finanche punti di vista eterodossi.
giorgio agamben green pass senato
L'intervento più dirompente è quello del filosofo Giorgio Agamben. Il quale denuncia «una situazione giuridicamente e moralmente abnorme», una «mostruosità», per cui lo Stato «declina formalmente ogni responsabilità in merito alle possibili gravi conseguenze del vaccino». E poi c'è la riflessione sull'iniezione come viatico per abituarci ai «dispositivi di controllo».
AGAMBEN
Con un ribaltamento: non è il green pass un mezzo per costringere la gente a vaccinarsi, quanto il vaccino «un mezzo per costringere la gente ad avere il green pass». Una condizione che Agamben considera peggiore di quella «dei cittadini dell'Unione sovietica»: loro «erano costretti a mostrare un lasciapassare per ogni spostamento da un Paese all'altro. Noi siamo costretti a mostrarlo anche per andare al ristorante, al museo, al cinema e ora anche per andare a lavorare».
Giorgio Agamben
Se ne faranno una ragione quelli che «il green pass non si può paragonare alle leggi razziali», ma il filosofo dichiara che il decreto ha creato «cittadini di seconda classe», con restrizioni «identiche a quelle subite dai non ariani». Sono «trasformazioni» insidiose, ammonisce Agamben, perché «avvengono senza il cambiamento del testo della Costituzione, ma surrettiziamente».
Come ha osservato Massimo Cacciari, producono un passaggio dallo stato d'emergenza allo stato d'eccezione. «La sicurezza e l'emergenza», conclude Agamben, «non sono fenomeni transitori, ma costituiscono la nuova forma di governamentalità».
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L'eccezione che si fa normalità. Se dal prof Corrado Caruso, costituzionalista dell'ateneo di Bologna, apprendiamo che l'obbligo vaccinale (anche se è subdolo?) è legittimo, poiché la dignità della persona, requisito che le terapie non possono violare, non ha a che fare con libertà individuale e autodeterminazione, è proprio Mangia, della Cattolica, a spiegare dove sia l'inghippo nella strategia perseguita tramite il foglio verde.
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Non è un problema di diritto costituzionale, bensì di diritto amministrativo. E riguarda «gli atti di autorizzazione», il via libera ai farmaci antivirus. Si tratta di autorizzazioni condizionate, mentre la Consulta ha legittimato l'obbligo vaccinale se, tra le altre cose, il preparato è in grado di «preservare lo stato di salute» del paziente. Insomma, solo se sono noti i potenziali effetti dannosi del farmaco, che dovrebbe aver superato ogni fase di sperimentazione ed essere stato autorizzato in via definitiva.
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Rilevante la frecciatina a Silvio Brusaferro dell'Iss, che poco prima ha attribuito all'Ue la paternità del green pass all'italiana: «Chi ne sostiene la legittimità costituzionale», osserva Mangia, «lo nega. Altrimenti, con il Regolamento europeo che vieta la discriminazione dei non vaccinati, verrebbe giù tutto».
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Da registrare anche l'affondo dell'infettivologo Leopoldo Salmaso: «La vaccinazione dei lavoratori e degli studenti è non solo pericolosa per i diretti interessati, ma addirittura controproducente per la comunità, perché la persona vaccinata diventa un untore», che «elabora e diffonde variabili non naturalmente adattate», coltivando «un falso senso di sicurezza».
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Mentre Marco Cosentino, farmacologo dell'Università dell'Insubria, bacchetta i tanti, da Burioni in giù, che banalizzavano le miocarditi da vaccino: «Non ho mai studiato che esiste un'infiammazione cardiaca lieve o benigna». Per concludere che l'unico presupposto «ragionevolmente vero» del pass, l'esito negativo di un tampone, è quello che le autorità scoraggiano. C'è una notizia: in Italia esiste ancora un dibattito pubblico.