Ugo Nespolo per “Tuttolibri - la Stampa”
christian caliandro cover
Con Marco Vallora conviene subito dire che «quando uno riceve un libro, per leggerlo o recensirlo, talvolta si coagula, nel sottofondo, come un'immagine acustica, percussiva che non ci abbandona». Succede un po' anche ora con questo libro di Christian Caliandro Contro l'arte fighetta, turbolento nucleo di testi, già apparsi in forma e ordine differente su Artribune, Che fare e minimaetmoralia.
Lavoro come tappa acuminata della collana Fuoriuscita di Castelvecchi diretta da Caliandro medesimo il quale in proprio è storico e critico d'arte, prolifico autore di saggi come L'arte rotta, promotore di fatti e eventi culturali nutriti di mostre e di variegati progetti d'arte e cultura espansa.
La tesi del libro è dettata in fondo da quello che l'autore sostiene essere l'abbandono negli ultimi trenta - quarant'anni della working class a favore della borghesia e delle classi privilegiate, non solo in campo economico e politico ma soprattutto in quello culturale, per far sì che l'intero immaginario sia interessatamente proiettato verso valori da definire come appartenenti al mondo agiato o meglio ancora fighetto.
JEFF KOONS
L'idea (tutta da verificare) è che principalmente l'universo delle arti figurative - più della letteratura e della musica - abbia aderito, anticipato e promosso l'adesione ai valori delle élite e delle classi privilegiate. Si dice delle presunte grandi rivoluzioni linguistiche degli anni Sessanta e Settanta fino ad abbracciare l'acida fase regressiva degli anni Ottanta. Anni perfidi, patrimonio della globalizzazione capace persino di far precedere il valore economico a scapito di quello culturale.
Artisti-imprenditori e artistar producono solo arte che si adegua alla comunicazione pubblicitaria proprio come fanno i vari Koons, Hirst, Cattelan e tutti gli altri con opere che si vogliono da subito accessibili e sensazionali, sature di opache transazioni finanziarie.
Caliandro sa bene che in arte siamo al tempo del ciò che costa vale, arte che adora e vuole gatekeepers e market makers, paga opere in forma di asset d'investimento alternativo a quello borsistico e immobiliare o delle commodity roba come maiali, gas naturale, zucchero, piombo, bulk chemical.
balloon dog jeff koons
Fosse così semplice pensare che a partire dai primi anni Novanta ci si accontenti di riproporre patetici revival degli stilemi dell'arte concettuale, povera e postminimalista mettendo in mostra (e sul mercato) solo i gusci artaudiani depurati degli afflati utopici e di qualsiasi complessità esterna, non saremmo per niente sorpresi. Saremo pronti a salvare simili operazioni col gioco furbo del «lecito» citazionismo ereditato dal sepolto postmoderno.
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Sa bene Caliandro che la presunta rivoluzione dell'Arte Povera e le velleitarie dichiarazioni teoriche iniziali di Celant (guerriglia!) erano ab origine confezionate per il mercato internazionale dominio di istanze d'oltreoceano e della tacita e servile osservanza europea, la stessa che ancora perdura e prospera.
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L'artista fighetto che sa di essere inutile, incapace di incidere sulla realtà è travolto dalla disperazione. La sua opera è depotenziata in partenza e appare vuoto anche l'atteggiamento impotente e ironico che la informa. Per Caliandro l'artista fighetto non può che essere conservatore sia in campo politico e sociale come in quello formale, lontano dall'inafferrabile fantasma vaporoso che l'autore chiama ancora il nuovo, mitica scheggia del moderno dissolta da tanto nel brodo opaco dell'anything goes dei meandri postistorici. Per essere onesti si deve dire che tutto il mondo del contemporaneo adora il pallido grugnito di Andy: «The good business is the best art».
DAMIEN HIRST
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Una corposa parte centrale del saggio è dedicata, con ammirevole competenza, alla Lunga digressione sul pop sotterraneo per verificare con molta sensibilità il lungo viaggio, trionfo e declino del pop, svanita l'esplosione creativa degli anni Settanta e Ottanta quando s'arena in una sorta di riflusso collettivo, in ripetizioni prelevate dall'archivio del passato recente. Anche la musica pare aver perso il suo potenziale di esplorazione dell'ignoto per votarsi alla prevedibilità e agli algoritmi. Lontani Depeche Mode, Nine Inch Nails, Nirvana, U2, Talk Talk, The Cure, Smashing Pumpkins, resta ora solo un guscio vuoto, un gioco esornativo e prevedibile.
damien hirst
Caliandro è drastico nell'indicare la sua personale via d'uscita e adotta il tono da predicatore alla Jesse Duplantis quando invoca per noi il «rifiuto di partecipare personalmente alla menzogna» e di ostacolarne la diffusione. Prende forma la nozione di arte sfrangiata, un'arte «fatta di niente come l'esistenza che cambia in continuazione e diventa…» una zona di disagio, un'arte non positiva, non costruttiva, non ottimista «nel senso piuttosto disgustoso e deprimente che questi aggettivi hanno assunto negli anni».
Quest'arte è anche antinostalgica e, dopo aver perso i suoi margini si vuol fondere con terreni scomodi, tristi e problematici e - si sa - non deve essere consolatoria. Sarà per Christian Caliandro un'arte fatta tra amici e per gioco, intima come le cose comuni, come una bella chiacchierata e poi dovrà «allungare le ciglia verso le estremità del mondo». Lontani echi di Fluxus, piccoli gesti di sovversione individuale come il sorriso di Henry Flynt verso un'arte dell'insignificanza fatta di scarti buoni come per banalizzare la cultura in uno sberleffo senza fine. Vicina anche la visione della verde giduglia, Patafisica come la più alta tentazione dello spirito, l'orrore del ridicolo.
damien hirst
Solo Guy Debord con l'Internationale Situationniste ha saputo dar vita all'abbraccio col reale sfoderando utopie eliminando il coté artistico, sempre corrotto, per una direzione integralmente politica e radicale. Se siamo davvero - secondo Perniola - al grado zero dell'arte, per Jean Baudrillard l'arte stessa è giunta a un punto morto. Diventa un processo catastrofico. Una strategia fatale.
CATTELAN