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Alberto Zangrillo non ha cambiato idea. Ribadisce la convinzione che si stia assistendo ormai a «un'altra malattia» rispetto a quella che ha colpito l'Italia nei mesi scorsi: ma per Massimo Galli il virus è rimasto lo stesso e bisogna stare attenti, con questi messaggi a «quello che resta in testa alla gente».
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Sono rimasti, come era prevedibile, sulle proprie posizioni il direttore della terapia intensiva del San Raffaele di Milano e il primario del reparto malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano, messi a confronto stasera a Porta a Porta. Zangrillo ha spiegato la propria affermazione dicendo che «dall'osservazione clinica abbiamo visto una flessione progressiva» fino a «non vedere più un paziente in terapia intensiva» dalla fine di aprile. Ma per Galli questa osservazione nasce dal fatto che in terapia intensiva «arrivano solo i malati più gravi» che sono effettivamente diminuiti per l'efficacia delle misure di distanziamento sociale e perchè le persone anziane, quelle a maggior rischio di conseguenze pesanti, hanno adottato comportamenti prudenti.
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Ma «solo il 10 per cento delle persone che hanno contratto il virus sono costrette ad andare in ospedale con una polmonite» e tutte le altre, che si curano a casa, «hanno lo stesso virus» e allo stato dei fatti i risultati delle ricerche «non ci dicono che il virus sia cambiato in maniera significativa». «Non ho mai detto che il virus sia cambiato» ha replicato Zangrillo, ma «posso assicurare che stiamo assistendo ad una malattia assolutamente differente», ed è possibile che «le evidenze cliniche parallelamente alle evidenze scientifiche ci permetteranno di mettere, temporaneamente, la parola fine». «Possiamo essere d'accordo che quello che stiamo vedendo e diverso da quello che vedevamo un mese fa», la controreplica di Galli, ma questo è una «logica conseguenza del fine della prima ondata dell'epidemia». (ANSA).
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