giuseppe de rita
Stefano Filippi per “la Verità”
A 88 anni il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis, va tutte le mattine a lavorare. E dal suo osservatorio valuta il sentire degli italiani, l' operato del governo e anche le polemiche sul modo più opportuno di tutelare gli anziani come lui.
Chiudere in casa un ultrasettantenne è il modo giusto di proteggerlo?
«Questa di "proteggere gli anziani" è una cosa che non ho mai capito bene».
Che cosa non le è chiaro?
«Se vogliono gli anziani a casa per tutelare gli anziani stessi, o per tutelare tutti gli altri. Un conto è dire a noi anziani "state a casa così non vi ammalate", un altro è dire "state a casa così non ci attaccate il virus e non intasate le strutture sanitarie"».
coronavirus anziani 2
L' effetto non è il medesimo?
«Ma il senso che vi sta dietro è profondamente diverso, e questo significato non è mai stato chiaro in nessun tipo di comunicazione. Io posso anche accettare entrambe le ragioni. Se mi dicessero "Poveraccio, hai 88 anni, stattene a casa perché se esci poi magari in ascensore trovi qualcuno che ti infetta", penserei: vabbè ma potrei anche fregarmene un po', sono vecchio e non ho molto da perdere».
E se invece le dicessero: stai a casa per non intasare il sistema sanitario?
IL DPCM DI CONTE - MEME
«Potrei addirittura accettarlo di più. Mi chiuderei a casa per non creare un problema alla collettività e non sottrarre risorse a chi ne avesse più bisogno di me. È un discorso meno buonista ma più razionale. Tuttavia, nessuno dei due approcci è stato spiegato né privilegiato rispetto all' altro, e nessuno dei due ha la forza di indurre un intervento preciso.
Tant' è vero che alla fine il dpcm non ha disposto misure dirette agli anziani».
Però ne è nata una polemica politica.
«La politica aveva lanciato il sasso, poi ha visto che il tema funziona poco perché hai contro tutti e non riesci a farne uno strumento politico. Così l' argomento anziani è rimasto fuori dal decreto. È stata una grande tempesta in un bicchiere d' acqua».
ANGELO BORRELLI ROBERTO SPERANZA GIUSEPPE CONTE
Lei comunque pare prediligere l' aspetto meno buonista.
«Sì, sarà un atteggiamento "cattivista", ma è più chiaro, netto e razionale».
La politica e la società vogliono tutelare gli anziani o metterli da parte?
«Quella sugli anziani è stata una polemica avviata da chi gestisce la macchina sanitaria. La maggior parte di quanti hanno partecipato al dibattito non sono anziani. È la dirigenza sanitaria che ha gestito la discussione.
giuseppe conte come mastrota - meme leghista
Da quando è stato costituito il Comitato tecnico scientifico della Protezione civile, l' opinione pubblica non la facciamo né lei né io, che pure di professione facciamo i comunicatori: la fanno gli esponenti del mondo sanitario. Tutti gli altri stanno a difesa».
Gli anziani sono agnelli sacrificali?
«Come diceva René Girard, in una società moderna si può arrivare al sacrificio di uno per salvare la comunità. Ma non siamo ancora arrivati a un tale punto di terrore per cui bisogna sacrificare qualcuno, o comprimere i suoi diritti, per mantenere o riportare l' ordine sociale».
giuseppe conte agostino miozzo
Non c' è paura nella gente?
«Il terrore collettivo è minimo. Il massimo lo si raggiunge quando si incontra una persona per la strada: magari in quel momento io non ho la mascherina, e allora l' altro attraversa la strada per evitarmi. Non abbiamo il terrore della pandemia, non la viviamo come un problema che ci tocca ancora personalmente. Non è la peste che secoli fa terrorizzava l' intera società. No: l' idea di avere una persona o una bestia da sacrificare non è ancora arrivata. E spero che non arrivi».
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Lei è al lavoro, conduce una vita normale o si attiene a qualche limitazione?
«Ho lavorato tutto il tempo del primo lockdown andando in ufficio normalmente. Lo potevo fare perché a marzo gli istituti di ricerca erano stati autorizzati a restare aperti, quindi eravamo al lavoro, con tutti i distanziamenti e le sanificazioni del caso».
E adesso?
«Non siamo ancora al lockdown e quindi continuo a fare una vita normale. Del resto, mi sembra difficile per uno che abbia 88 anni chiudersi in casa: per fare cosa?
Per proteggersi? Se devo morire, che accada in piena efficienza di vita.
CORONAVIRUS - OSPEDALE
Gli antichi dicevano che gli uomini quando sentono arrivare la morte appassiscono come le piante. Prima appassiscono e poi muoiono. Fino a quando non appassisco, non accetto di non fare una vita normale. Il giorno che mi sentirò appassito, quando al mattino non mi andrà di alzarmi o di lavorare, o proverò fastidio vedendo un pezzo da correggere, allora vuol dire che starò appassendo. Però non devo avere paura di morire prima di appassire».
Italia, seriate - coronavirus
Lei diceva che la comunicazione della pandemia è stata consegnata all' ambito medico: le va bene? Chiederebbe un cambiamento al governo?
«La decisione è stata presa all' inizio, a febbraio, e non so valutare come siano effettivamente andate le cose. Quando si è cominciato a informare i primi giorni, molti di noi, me compreso, dissero che ci voleva una cultura statistica per dare ai numeri un senso valido per tutti. È il lavoro che tipicamente fa l' Istat: elaborare i dati e presentarli in modo unitario e comprensibile. Io non ho mai avuto rapporti idilliaci con l' Istat, a parte l' amicizia con i suoi presidenti: ho sempre sentito l' istituto come una macchina diversa dalla mia, noi una navicella corsara e loro un grande apparato. Ma mi sarei appoggiato all' Istat. Invece non è accaduto».
meme sull orologio di conte
Come mai, secondo lei?
«Le spiegazioni che ho raccolto sono due. Secondo alcuni, l' Istat avrebbe detto di non avere la competenza per valutare cosa significa un guarito, un malato, un contagiato o un ricoverato in terapia intensiva».
E dunque si sarebbe tirato indietro. La seconda spiegazione?
«Sarebbe stata l' autorità sanitaria a dire di essere l' unica depositaria della competenza e della cultura scientifica per trattare questi dati e l' Istat è stata tenuta fuori».
Quale versione la convince di più?
«A me non interessa chi ne abbia la responsabilità. So però che la strada di affidare la comunicazione al Comitato tecnico scientifico ha portato a una situazione assurda. Si è fatta più comunicazione che informazione».
Italia coronavirus
Che cosa intende?
«Si comunicano tanti numeri ma non si informa. L' informazione ha il dovere di dare contesti complessivi e offrire una sfera ampia della conoscenza. Non a caso, mentre la comunicazione la sanno fare tutti, non tutti sanno fare informazione. Abbiamo avuto un surplus di comunicazione a scapito di una bassa qualità di informazione statistica, e questo crea emozioni, paure, speranze ma non elementi razionali per ciascuno di noi».
GIUSEPPE CONTE MEME
Tutti incolpano del contagio la movida, ma non esistono dati che lo confermino. Così come non sappiamo quanto il virus si diffonda in supermercati, scuole, aerei...
«La comunicazione rincorre sé stessa, non si ferma mai a dire come sono connessi i dati. Questo meccanismo di riflessione sui dati raccolti non c' è stato. La comunicazione sul virus ha creato emotività, non razionalità nei comportamenti».
È questo che ha portato ad adottare solo provvedimenti non mirati come i lockdown e le regioni colorate?
CORONAVIRUS - TERAPIA INTENSIVA
«Ancora peggio: sono provvedimenti di rincorsa. Di come è stata gestita la prima fase non posso dire niente: non sapevamo nulla, eravamo impreparati, affrontarla era difficile ma ce l' abbiamo fatta.
È nella seconda fase che non c' è più stata la capacità di fronteggiare l' epidemia. Non potevamo dire di essere impreparati. Ma non avevamo le strutture di conoscenza capaci di individuare i problemi, e allora siamo costretti alla rincorsa».
DOMENICO ARCURI FRANCESCO BOCCIA
Rincorrere cosa?
«Aspettiamo che avvengano i problemi prima di intervenire. Aspettiamo i contagi per dire che cosa fare. È una rincorsa, non un intervento serio».
Come vivono oggi gli italiani? Sono sempre impauriti, o sono più rassegnati?
«Da una parte, c' è meno paura. Gli occhi dei miei concittadini sono diversi da quelli di maggio. Allora non si sapeva che cos' era questo virus e da dove arrivava. Ci dicevano soltanto di lavarci le mani e non stropicciare gli occhi. Oggi invece ne sappiamo di più e la sensazione è che la malattia sia controllabile».
E se non è la paura, quale sentimento prevale?
coronavirus terapia intensiva icc casal palocco roma 2
«Una grande incertezza. Una doppia incertezza».
Si spieghi.
«Quella che ha ciascuno di noi per un colpo di tosse o una febbretta, se fare un test rapido o un tampone molecolare, se i risultati degli esami sono validi, se dovrò ripeterli o potrò stare tranquillo: domina questa incertezza di massa.
Dall' altra parte, c' è l' incertezza del governo che non ha una politica, ma rincorre la patologia, interviene dove lo porta la malattia ma non fa nulla per contrastarla. Vedo questa doppia incertezza nella testa dei concittadini».
MEME SU GIUSEPPE CONTE
La medicina allunga la vita ma non dà un significato a tante persone per affrontare questi anni in più regalati. Che cosa direbbe a un anziano per cui la vecchiaia è solo un peso?
«Un grande imprenditore veneto, Aldo Tognana, morto di recente a 100 anni, ripeteva una frase bellissima che ho fatto mia: non bisogna aggiungere anni alla vita, ma aggiungere vita agli anni. Avere vigore, ricchezza, voglia, gioia di vivere. Altrimenti allungare la vita può essere peggio della morte. Tognana era un uomo straordinario, atletico, divertente, e non solo un grande imprenditore. Anni fa lo ricordo in vacanza a Lipari che si tuffava dalla barca e cantava in mare. Si può vivere bene se aggiungi vita agli anni, altrimenti aggiungere anni è un puro fatto statistico».
GIUSEPPE CONTE E LA CHIUSURA DEI BAR BY CARLI IL VERNACOLIERE E L IPOTESI DI UN NUOVO LOCKDOWN