alessandro vespignani.
Nel pomeriggio di lunedì primo gennaio ho chiamato al telefono Alessandro Vespignani per salutarlo e per fargli gli auguri. Alessandro vive a Boston, dirige i laboratori di ricerca della Northeastern University, dove si studia l’andamento delle epidemie e la possibilità di prevederle.
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Gli ho chiesto a che punto siamo e lui mi ha risposto senza giri di parole: «Il virus sta molto bene e accumula mutazioni, il colpo di scena è stato la variante inglese. Questa è una pandemia di dimensioni estremamente importanti di cui purtroppo siamo ancora lontani dalla fine».
Ascoltavo le sue parole e pensavo al nostro dibattito sulla riapertura delle scuole e delle piste da sci. Ho avuto una sensazione di smarrimento: da troppo viviamo sospesi, il nostro orizzonte è limitato a una settimana, al massimo due. Aspettiamo con infinita pazienza indicazioni che ci dicano cosa possiamo fare e quando.
Le risposte che ci arrivano però troppo spesso non sono credibili, ma confuse e contraddittorie: in una notte si vorrebbe passare dalla zona rossa al ritorno in classe dei ragazzi. Credo invece che sia importante parlare con chiarezza e fare i conti con la realtà.
mario calabresi
Chiederci cosa ci dobbiamo aspettare da questo anno, che strada abbiamo davanti. Per immaginare una via d’uscita dobbiamo conoscere gli ostacoli sul cammino e non coltivare illusioni che nel giro di pochi giorni possono diventare cocenti delusioni.
Per trovare risposte ho pensato di ascoltare le voci delle persone che in questo tempo mi sono sembrate più credibili e costanti, quelle che non hanno mai ceduto alle lusinghe della polemica e dello spettacolo. E ho deciso di usare lo strumento del podcast.
Così ho creato una nuova serie podcast che si chiama Altre/Storie, proprio come questa newsletter, perché anche lì voglio partire dalle storie delle persone, dalle conseguenze che i fatti della cronaca hanno sulle nostre vite.
CORONAVIRUS - VACCINAZIONI A ROMA
Con il vizio di coltivare la memoria per riuscire a immaginare dove andiamo. Altre/Storie sarà un podcast di Chora Media, la neonata società che dirigo e che ha come cuore proprio i contenuti audio.
Dopo quella telefonata ho scelto di partire da Vespignani, che è il più credibile studioso di epidemie a cui rivolgersi, un fisico italiano che da anni studia la capacità di diffusione dei virus nel mondo. Con lui abbiamo parlato del 2021, «della lunga sfida tra contagi e vaccini», e il risultato lo potete ascoltare qui.
alessandro vespignani
Forse ricorderete Alessandro Vespignani, avevo raccontato di lui proprio su Altre/Storie durante il primo lockdown, lo scorso anno. Ci spiegò come i virus si diffondono esponenzialmente, quali sono le catene di trasmissione e come si possono interrompere.
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Da allora ci siamo scritti e sentiti molte volte e di lui mi piace la capacità di non essere mai retorico ma sempre asciutto e razionale. Oggi la sua più grande preoccupazione si chiama “variante inglese”.
Prima però chiariamo di cosa si tratta: la variante inglese è una nuova versione del virus Sars-CoV-2, si chiama B.1.1.7 e ha 23 mutazioni nel suo codice genetico, di cui otto riguardano la proteina spike, quella che aggancia le nostre cellule e permette al virus di infettarci.
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Non è solo un problema londinese, ma si è già diffusa in tutta Europa e negli Stati Uniti. «Quest’ultima mutazione – spiega Vespignani – desta preoccupazioni perché si osserva un aumento della trasmissibilità del virus: è più efficace e ha una forza di riproduzione più grande.
Non è più letale, però l’aumento della trasmissibilità, che sembra essere del 50 per cento, porta a un aumento dei casi e quindi rende ancora più difficile controllare e mitigare l’epidemia».
La variante inglese – e questa è la buona notizia dentro quella brutta – non sfugge ai vaccini che sono stati messi a punto e che risultano efficaci, perciò mi parla «di una corsa contro il tempo, per evitare che il virus possa avere nuove mutazioni». In questo contesto «tutte le riaperture sono a rischio: per farle bisogna avere numeri più bassi di quelli che abbiamo adesso».
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Quando gli chiedo se rischiamo una terza ondata quasi si stupisce: «Non possiamo parlare di una terza ondata, è sempre la seconda che continua, non è mai finita». Il vero motivo di frustrazione per gli studiosi come lui – che fin da marzo dell’anno scorso ripetevano che andava costruito un sistema di test, tracciamento e trattamento (le famose 3 T) come precondizione per riaprire scuole, uffici e negozi – è «aver combattuto la seconda ondata esattamente con i modi della prima: è il segno della sconfitta. La politica non è stata coraggiosa nel dire la verità e nel cercare di attrezzarsi. Era scomodo dire: non è finita, dobbiamo continuare a prepararci e a lavorare. Così abbiamo trattato la seconda ondata come se fosse inaspettata, ma non era così».
ALESSANDRO VESPIGNANI
Gli chiedo cosa sarebbe successo se avessimo fatto i compiti la scorsa estate, anziché fare proclami trionfalistici. «Ci saremmo risparmiati molti morti», risponde. Invece abbiamo assistito al dibattito tra medici e scienziati, tra ottimisti e pessimisti: «Ma la scienza non può essere ottimista o pessimista, la scienza deve essere razionale. Si sono voluti torturare i dati, per trarne auspici ottimistici e quel comportamento lo stiamo pagando».
«Nessuno vuole essere Cassandra, bisogna lavorare bene per uscirne bene. Questo significa che abbiamo ancora due mesi duri d’inverno davanti, significa che quando il virus comincerà a scendere bisognerà tenere la guardia alta e significa ricordare anche che questa pandemia non è un fenomeno locale o nazionale e non si valuta solo pensando al cortile di casa».
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Gli chiedo ancora quale sia la sua opinione sui vaccini, su come sia stato possibile fare così in fretta, mi risponde che non vede l’ora di vaccinarsi ma che ognuno deve fare il suo mestiere e lui non è un immunologo. Per questo la prossima puntata di Altre/Storie podcast sarà con uno dei più influenti scienziati italiani, l’immunologo Alberto Mantovani.
Una cosa è chiara, la natura non ha il nostro calendario, per lei non esistono il 2020 e il 2021, per noi invece sì e questo sarà l’anno della pazienza ma anche della speranza.
coronavirus paziente all ospedale san filippo neri di roma coronavirus ospedale san filippo neri di roma