terapia monoclonali
Saremo anche ai titoli di coda ma di Covid si muore ancora e tanto. In 12 mila non ce l'hanno fatta da Natale a oggi e il 70% delle vittime era vaccinata. Solo che, a causa dell'età avanzata o di malattie che comunque minano il sistema immunitario, il virus è riuscito comunque ad avere la meglio. Sono i quattro milioni di super fragili che potrebbero essere protetti con i nuovi antivirali e i monoclonali. Peccato però che per accedervi, denunciano i medici, sia una corsa a ostacoli.
monoclonali
«Si è messo su un sistema troppo complesso e burocratico per terapie che vanno somministrate al massimo entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi e sempre che la malattia non evolva verso forme più severe, perché anche in questo caso diventano inutili», spiega Filippo Anelli, presidente dell'Ordine nazionale dei medici.
Protezione in più per i fragili Prendiamo i monoclonali, che sono particolarmente indicati per i soggetti immunodepressi. Da novembre al 2 febbraio, ultimo dato reso disponibile da Aifa, ne sono stati prescritti soltanto 44.232. E in modo molto difforme, perché se il Veneto ha fatto il 17,5% delle infusioni e il Lazio il 14,8%, la più popolosa Lombardia non è andata oltre il 7,5% e la Sicilia si è fermata al 4,9%.
cura monoclonali
Parliamo di una terapia che viene somministrata per flebo negli ospedali ai pazienti di età superiore a 12 anni, non ospedalizzati, con sintomi lievi o moderati e in presenza di almeno un fattore di rischio di sviluppare forme gravi di malattia o di morte. «Molti anziani non autosufficienti, più esposti al rischio Covid, non hanno avuto la possibilità di accedere a queste terapie che si potrebbero fare a domicilio se gli ospedali non fossero stati oberati di così tanto lavoro», spiega Anelli.
anticorpi monoclonali
Ma secondo il direttore dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, con i monoclonali si può fare di più. «Possono essere utilizzati in profilassi, ossia per prevenire forme severe di malattia nelle persone immunodepresse, alle quali andrebbero somministrati prima che diventino positive. Qui lo abbiano fatto con ottimi risultati».
Ma nella stragrande maggioranza dei casi dai monoclonali sono rimasti tagliati fuori anche i contagiati con profilo di rischio alto, perché Omicron ha fatto selezione e a oggi un solo monoclonale funziona contro la variante arrivata oramai al 99% in Italia e le dosi disponibili sono poche di fronte alla domanda.
filippo anelli
«Siano disponibili in farmacia» La storia rischia ora di ripetersi con i nuovi antivirali. Che come i monoclonali costano tanto, mille euro i primi e 700 i secondi, se non fosse che una sola giornata di ricovero evitata vale mille euro, tremila se in terapia intensiva. Il Paxlovid in particolare, la nuova pillola della Pfizer, promette di prevenire nel 90% dei casi il ricovero.
Questa volta di trattamenti l'Italia ne ha acquistati un bel po'. Sono 600 mila le confezioni che con 2 pillole al giorno per 5 giorni garantiscono anche qui nella gran parte dei casi di non finire in ospedale o di morire. Per ora il Commissario ne ha distribuite 11.899, ma a stretto giro arriveranno le altre. Nonostante basti un bicchiere d'acqua per mandarle giù, bisogna però passare anche in questo caso per l'ospedale.
paxlovid
Cinque giorni di tempo E qui comincia una nuova corsa a ostacoli. Anche gli antivirali sono efficaci se assunti entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi da pazienti «non trattati con ossigenoterapia». «Per questo dovrebbero essere prescritti rapidamente e questa rapidità la garantiscono solo il medico di famiglia e la farmacia, mentre in Italia il primo non può prescriverli e le seconde non li hanno proprio», denuncia il virologo Francesco Broccolo, dell'Università Bicocca di Milano.
paxlovid molnupiravir
Passando obbligatoriamente per l'ospedale i tempi si allungano. «Ci vogliono circa due giorni prima che il paziente abbia la risposta dal tampone, dopodiché deve rivolgersi al medico di base e questo a sua volta deve mettersi in contatto con il reparto di malattie infettive dell'ospedale, dove il farmaco può essere prescritto e somministrato».
Il rischio, osserva il professore, è «perdere tempo e non riuscire a somministrare la terapia. Ed è anche un sistema discriminatorio, se pensiamo alle periferie e a tutti i centri delocalizzati che non possono accedere in tempi rapidi a un reparto ospedaliero di malattie infettive».
Francesco Vaia DELLO SPALLANZANI 2
«Avevamo già segnalato all'Aifa la necessità di autorizzare la vendita in farmacia e la prescrizione da parte dei medici di famiglia», sottolinea a sua volta Anelli. Richiesta rilanciata ieri da Vaia e dal presidente dell'Aifa Giorgio Palù in un seminario di esperti allo Spallanzani. Dove pazienti trattati con la nuova pillola hanno vista abbattersi la carica virale da 90 a 1,5.