sala mahmood
Alberto Mattioli per la Stampa
Che duetto. Alla fine meglio di quelli di Sanremo, anche perché almeno ieri c' era il non trascurabile vantaggio che i duettanti non cantavano, ma si limitavano a parlare. Cast solo apparentemente surreale: il sindaco di Milano, Beppe Sala e, nonostante la mamma sarda e il papà egiziano, il milanesissimo Mahmood, laureato con lode a Sanremo grazie a una canzone non meno milanese fin dal titolo, Soldi .
Luogo (anzi, location, come si dice appunto in milanese) dell' epocale incontro, il Rocket Club sui Navigli, davanti a un pubblico misto, con prevalenza di ragazzi e in particolare di ragazze per Mahmood e qualche anziano in missione democratica e antifascista per Il sindaco.
sala mahmood
Loro due, perfetti fin dal look: Sala vestito da Kennedy del Quadrilatero, jeans, mocassini, blazer blu e camicia aperta, Mahmood con un impermeabile psichedelico su sandali e calze bianche da turista tedesco (e il primo cittadino, implacabile: «Ma questo spolverino te l' hanno scelto o l' hai comprato tu?»).
Sala fa il bravo intervistatore, Mahmood il bravo ragazzo che alla fine è. Entrambi a celebrare questa Milano europea, inclusiva, antirazzista e meritocratica che spicca ogni giorno di più nella cappa anni Trenta che sembra essere calata sull' Italia.
E qui, davvero, come testimonial Alessandro Mahmoud in arte Mahmood è perfetto, perché non solo è un italiano d' Egitto, ma anche un self-made-man con successo certificato all' Ariston, cioè il massimo della consacrazione nazionalpopolare, e per di più nato, cresciuto e maturato al Gratosoglio, periferia meridionale della città e, almeno nella mitologia di cui crede che il mondo finisca ai Navigli, «waste land», terra desolata, lasciate ogni speranza o voi che prendete il 15.
giuseppe beppe sala manifestazione antirazzista milano
Invece, il messaggio passa benissimo, siamo qui per questo, c' è speranza pure per le banlieue. Lo stesso Mahmood dice che «le vede bene», e che al Gratosoglio si sentiva sicuro più che in centro, capirai, la giungla di Brera e il Bronx di Montenapo. Ipotesi confermata dagli innumerevoli reportage post-Sanremo, dai quali emergeva una periferia non tremenda, semmai «underground» come da definizione di un collega brillante, in ogni caso vivibile (quanto poi al fatto che da remoti screenshot risulti che Mahmood, alle amministrative, abbia votato per un amico candidato per Forza Italia, pazienza, Sala vede e perdona).
sala fontana sala mahmood
Il resto del botta e risposta (poco botta e molto risposta, rispetto a Sala, Fazio è Torquemada) sono sprazzi autobiografici, con Sala che paradossalmente sembra più «gggiovane» di 'sto ragazzone educatissimo e garbato, perfino con una zia (salutata e applaudita) seduta per terra assieme al resto del pubblico multietnico. Così si scopre che il sindaco di Milano «sentiva a vent' anni i Doors, a quaranta i Depeche Mode e a sessanta i Florence and the Machine», ma Verdi mai, il che forse spiega l' impaccio nel gestire gli attuali pasticci sauditi della Scala.
Le buone ispirazioni Mahmood racconta compito che Milano è la culla della sua musica, «un potenziale altissimo di ispirazione», e insomma le «good vibes», le buone ispirazioni della metropoli, le sente anche lui. Infatti «mi sono sentito dare dell' immigrato, ma io sarò sempre dalla parte della vita. Sto con gli italiani che aiutano». E Sala: «Queste differenze che vogliono enfatizzare (chi, non lo dice, ma le iniziali sono M.S., ndr) non ci sono, e in realtà non siamo così diversi». Infatti è stato il primo a congratularsi per il trionfo sanremese, proprio mentre si scatenava la caciara sulla poca «italianità» dell' aedo del Gratosoglio e delle Fallaci malriuscite accusavano l' insulso Festivalone di aprire le porte al meticciato culturale, figuriamoci.
sala mahmood
Finisce con una bambina nera che sale sul palco con il primo cittadino e il primo a Sanremo per cantare a cappella Soldi (solo Mahmood, per fortuna). Vabbé, era un po' uno spot, ma non è stato male. E magari pure l' ennesima dimostrazione che la politica, oggi, la si fa davvero dappertutto, tranne che nelle sedi un tempo deputate.
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