Daniele Manca per il “Corriere della Sera”
MARIO DRAGHI
Un nuovo cambio di azionisti per Tim. O meglio, Telecom, anzi Telecom Italia, come venne chiamata ai tempi della privatizzazione avvenuta nel secolo scorso. La società potrebbe cambiare ancora una volta padrone. A farsi avanti un investitore di rango come Kkr. Quello che le cronache definiscono un investitore istituzionale di primo livello. Tanto per avere un'idea è l'attuale primo azionista di Springer, il maggiore editore tedesco che recentemente ha acquistato "Politico" il sito più autorevole a Washington per un miliardo.
E complessivamente amministra qualcosa come 400 miliardi. La manifestazione di interesse avanzata nei confronti dell'azienda presieduta da Salvatore Rossi e guidata da Luigi Gubitosi potrebbe preludere all'ennesimo ingresso di un investitore estero in Telecom. Con una differenza rispetto al passato.
TIM GUBITOSI
Il governo, che dispone di speciali prerogative in caso di acquisizione di società o pezzi di società ritenute strategiche per il Paese, ha tutte le intenzioni di farle valere. A cominciare dai paletti che è pronto a mettere su quella che viene chiamata rete telefonica che ancora oggi è forse l'infrastruttura tecnologica di maggior pregio del Paese. Kkr sembrerebbe disposta a rispettare quei paletti. Ma se Vivendi dovesse organizzare con un altro fondo (Cvc) una controcordata, difficile dire se i francesi abbiano voglia di privarsi dell'attivo più importante.
LOGO KKR
Non si tratta soltanto di quella rete racchiusa nella società Sparkle, la controllata di Telecom Italia che gestisce e possiede i cavi che permettono a molti Paesi di essere connessi al web e che è la quinta infrastruttura Internet al mondo. I 600 mila chilometri di fibra sparsa per il mondo e per gli oceani di Sparkle ma anche quelli sul territorio nazionale.
E' pensabile che lo Stato torni a essere protagonista in quella che viene ritenuto come uno dei volani dello sviluppo tecnologico del Paese, vale a dire la rete di telecomunicazioni? Probabilmente sì, una sorta di rinazionalizzazione. Certo, siamo solo alle prime battute di una partita né facile né chiara nella sua evoluzione. E il punto resta quello legato al fatto che il governo possa far rispettare le proprie prerogative. Il premier Mario Draghi ha già esercitato il «golden power» bloccando la vendita di un'azienda di semiconduttori ai cinesi. Ma in questo caso si tratterebbe di essere ancora più sofisticati.
DRAGHI 17
Tanto che Palazzo Chigi sarebbe pronto a varare una sorta di supercomitato di ministri e superesperti per esaminare la possibilità (si fanno i nomi di Franco, Giorgetti, Colao, Gabrielli, Giavazzi, Garofoli, Chiné). Di sicuro c'è che un socio pubblico potente e altrettanto strategico come Cassa depositi e prestiti dispone in Tim di circa il 10% del capitale. E che la stessa Cdp ha oggi il 60% di Open Fiber, la cui missione è cablare in fibra ottica l'Italia, mentre il restante 40% è in mano a un altro fondo di rango, l'australiano Macquarie. Non ci sono solo quindi "intenzioni" ma anche puntelli sui quali contare per iniziare a delineare una strategia. Cosa che è mancata dai tempi della privatizzazione del 1997.
mario draghi
Come ama ripetere Vito Gamberale, uno dei manager storici di Telecom Italia che a suo tempo era il sesto gruppo al mondo di tlc, l'azienda è stata una delle «più profanate grandi imprese italiane». Non solo per una prima privatizzazione con soci non molto abili e poco efficaci. Ma anche per quell'Opa nel 1999 che, come uso dell'epoca, caricò di debiti il gruppo, oltre che per i continui passaggi di proprietà. L'ingresso della Pirelli e poi i reali o presunti salvataggi con sulla carta il meglio della finanza e dell'industria italiana, da Mediobanca a Generali passando per i Benetton.
CDP – CASSA DEPOSITI E PRESTITI
Fino alle incursioni dall'estero con gli spagnoli di Telefonica e oggi i francesi di Vivendi. Con esiti poco soddisfacenti viste le tensioni di queste settimane in consiglio. Il Paese è a uno snodo decisivo. Il flusso di investimenti che inizia a indirizzarsi verso l'Italia è considerevole. La stessa offerta di Kkr è indice di un rinnovato interesse. Ma proprio per questo senza ideologie si devono individuare le mosse necessarie a rafforzare settori importanti.
draghi
E' vero che la rete è la parte pregiata dentro Tim. Ma come scriveva Dario Di Vico ieri attaccarsi allo slogan «piccolo è bello» ci ha resi ben poco presenti nel settore dei servizi con grandi aziende. Nelle tlc se dovesse andare in porto l'operazione Kkr i servizi sarebbero forniti da francesi, russi, cinesi, inglesi ma non da italiani. E allora dovremmo chiederci se il sistema imprenditoriale italiano sia stato all'altezza della sfida e se la politica abbia fatto quanto nel suo potere per far crescere le aziende che pure sono nate sul nostro territorio.
TIM
Le stesse Wind, Vodafone, originano da intuizioni che portarono alla nascita di Omnitel, Infostrada. Analogo discorso va fatto sulla manifattura. Accontentarsi di essere la seconda potenza di settore dopo la Germania non basta più. Dobbiamo chiederci se anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza possa servire ad accrescere dimensioni e competitività di attori nazionali. Siamo sicuri che dal settore ferroviario a quello della difesa a quello dei satelliti a quello tecnologico stiamo agevolando scelte che rafforzano la competitività dell'Italia in termini di competenze accresciute, di conoscenza acquisita, di indotto e filiere salvaguardate? Queste le domande che ci si dovrebbe fare in un grande Paese .
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