DAGONEWS
Il 7 settembre ci sarà una direzione del Pd che, a tre settimane dal voto, deciderà come schierarsi per un referendum che di fatto è in programma da un anno. Solo i dem riescono a mettere in scena questi psicodrammi, tutti legati al fatto che la ridicola riforma costituzionale che contiene solo la riduzione dei parlamentari era il biglietto di ingresso per il governo, la prova d'amore populista per Zingaretti a Di Maio.
zingaretti renzi
Se nel frattempo si trovasse un accordo sulla riforma elettorale, i dem non salverebbero la faccia, ma almeno eviterebbero il lancio dei pomodori marci da parte dei sostenitori: ehi, in un anno non abbiamo portato a casa niente, ma almeno c'è uno straccio di idea su come accompagnare la drastica riduzione di rappresentatività del paese.
Il problema è come al solito Renzi. Secondo i piani del senatore sempliciotto di Firenze, a quest'ora doveva avere il 10% dei consensi ed essere l'ago della bilancia del governo giallorosso. Invece nel frattempo è diventato l'ago nel pagliaio dei sondaggisti, che faticano a trovare chi è disposto a votarlo. Ergo: lui vorrebbe una soglia di sbarramento al 3%, mentre il Pd amerebbe sfrondare i cespugli sotto il 5.
L'unico modo per fargli accettare il 4% è un'alleanza con Calenda. Se i due ego riescono a passare un pomeriggio su Twitter senza litigare, allora i loro due partiti personalissimi, uniti, potrebbero puntare a superare quella soglia.
calenda renzi
Non manca qualche malumore tra i grillini: il proporzionale vuol dire controllo delle liste da parte delle segreterie, e non essendoci oggi un leader politico, certi cacicchi locali perderebbero ogni potere perdendo il seggio uninominale. Dopo il voto ci saranno gli Stati Generali, e almeno lì si scoprirà chi prenderà il controllo del movimento.
matteo salvini silvio berlusconi
Nel centrodestra Berlusconi e Salvini daranno libertà di coscienza sul referendum, mentre la Meloni si è schierata per il sì.