Aldo Cazzullo per corriere.it
Cesare Cremonini, qual è il suo primo ricordo?
malika ayane cremonini
«La timidezza. Erano i primi giorni d’asilo. Sentivo gli altri come un mondo già preparato, già unito, in cui sono dovuto entrare. Gli altri erano un terreno di conquista. Vivevo in campagna, a Colunga, frazione di San Lazzaro, provincia di Bologna. Fui il primo bambino a imparare a leggere e a scrivere. Però non riuscivo a dormire».
Perché?
«Dopo pranzo c’era il riposino. Tutti si coricavano sulle brandine. Io sgattaiolavo via, mi nascondevo, e mi inventavo qualcosa per far passare il tempo. Da allora dormo solo quattro ore per notte. E ho imparato la noia; che ai ragazzini nell’era del cellulare è negata».
Cosa facevano i suoi genitori?
«Mio padre il medico. Se n’è andato l’anno scorso, a 95 anni. Mia mamma ne ha trenta meno di lui. Si è laureata in lettere, passava le giornate a disegnare e a fare composizioni floreali; il coté artistico, quasi frivolo, mi viene da lei. A San Valentino rubavo qualche banconota dal portafoglio di papà e facevo regalini a tutte le compagne di scuola».
malika ayane cremonini
A che età comincia la musica?
«A sei anni arrivò il pianoforte. A otto suonavo Mozart, Chopin, Beethoven: prima ancora di capire cosa fossero le emozioni, la solitudine, la disperazione, la paura, l’amore, avevo già gli strumenti che ne parlavano. Ma la consuetudine ai grandi crea anche sconforto: perché ti fa sentire inadempiente. E inizia la ricerca ossessiva del miglioramento».
Qual è invece il suo primo ricordo pubblico?
«La mia generazione si affacciò sulla scena con la caduta del Muro, suggellata l’anno dopo dal concerto di Roger Waters, che canta The Wall a Berlino. Ci pareva di ascoltare la musica del mondo; con Mtv che raccoglieva questi messaggi e li portava nelle case di tutti i ragazzi della mia età. Nacque allora il desiderio di offrirmi agli altri, di affrontare la vita a spalle larghe e petto in fuori».
I suoi si separarono.
cremonini malika ayane 9
«Papà era uscito di casa. Trovai mamma che piangeva, chiesi perché. Rispose: è un segreto. Dissi: se ti fa piangere, lascialo. Il giorno dopo lo lasciò. Era andata la notte sui colli, per restare un po’ sola, e aveva deciso di cambiare la sua vita. Ora abbiamo un rapporto meraviglioso».
Il successo arrivò prestissimo: a 19 anni, con 50 Special. «...Squerez?» è l’album di una band più venduto nella storia della musica italiana.
schizofrenia
«Passai dalle feste liceali ai palasport. Come leader dei Lùnapop mi spettava appena l’1% degli incassi; mi arrivò lo stesso un assegno da 60 milioni. Fu una soddisfazione andare alla Carisbo, dall’impiegata che mi chiedeva insistentemente di rientrare: “Il suo conto è in rosso, dovremo chiuderlo!”. Le mostrai l’assegno: “Lo chiuda pure, cambierò banca”. Uscì il direttore a inseguirmi. Invano».
«Vespe truccate, Anni Sessanta...».
«Credo che il segreto di quella canzone sia nelle prime quattro parole, nell’assenza degli articoli. Negli Anni 90 coltivavamo il gusto del retrò: avevamo i cantautori, che sono immortali, ma anche i Beatles e i Beach Boys. La nostalgia più profonda è per quello che non si è vissuto. Fu un’epoca straordinaria, in cui sono nati i fenomeni che restano i protagonisti ancora oggi, da Fiorello a Jovanotti. E poi mi piaceva scrivere il rock in italiano. Per questo in tv ci siamo trovati bene con Celentano, insieme abbiamo cantato La Festa, una canzone degli anni 60: “Dai attacca il giradischi...»
cesare cremonini
Lei prese in giro Celentano per la calvizie.
«Sentii lo sguardo di Claudia Mori incenerirmi. Ma i veri grandi non amano i ruffiani. E sono sempre autoironici».
In un film di Pupi Avati lei è stato anche attore.
«Pupi sembra avere una penna stilografica nel cervello. Parla in forma di prosa, come se stesse scrivendo un libro. Così prende forma un racconto straordinario. E un po’ bugiardo. Succedeva lo stesso con Lucio Dalla».
Com’era Dalla?
cesare cremonini e martina
«Grandissimo. Ma tra i cantautori bolognesi sono stato il solo a non cadere nella sua rete».
Allo stadio incontrava Gianni Morandi.
«Mi chiese di scrivere una canzone per lui. Tornai a casa, mi misi al pianoforte, cominciai a cantare: “Ho visto un posto che mi piace, si chiama Mondo...”. Alla fine la canzone non la diedi a Morandi, la tenni per me».
Cosa significa diventare un divo a 19 anni?
«Violavamo tutte le regole dello spettacolo. Entravamo nei camerini altrui a rubare la biancheria intima delle star per regalarla agli amici. Organizzavamo feste invitando le ragazze incontrate per strada. Non vidi mio padre e mia madre per due anni. Fu la scoperta del sesso. E dell’Italia, della sua immensa provincia. Il bassista, Nicola “Ballo” Balestri, era minorenne e non poteva andare alle serate promozionali senza l’autorizzazione dei genitori; una sera si gettò dalla finestra di casa con l’ombrello, come Mary Poppins. Finì in ospedale».
È vero che sulla carta di identità, alla voce professione, lei fece scrivere «clown?».
«Il successo può indebolirti: ingelosisce chi ti ama, spesso rende peggiore chi ti circonda. Solo un pagliaccio poteva sopravvivere a un cambiamento così grande. Per questo mi colorai i capelli di rosso».
cesare cremonini con il padre
È vero che da ragazzino aveva pensato di fare il prete?
«Proprio il prete no, ma mi piaceva intrattenermi nel confessionale. Ogni settimana ci portavano a confessarci. I miei amici sbuffavano, stavano cinque minuti, mentivano, e se ne andavano. Io restavo per ore: “Don Giulio, può essere che io sia stato chiamato da Dio?”. Alla fine il sacerdote era esausto».
cesare cremonini con il padre
Dopo il successo viene il momento in cui, come scrive, «la follia nella linfa dei tuoi avi prende il sopravvento».
«È una patologia ossessiva. Una faglia nel Dna, una palla incandescente che ci passiamo di mano in mano: a qualcuno tocca, a qualcuno no. Ma non voglio parlare di loro. Non si uccidono i morti».
Cosa le accadde?
«C’è una canzone, Nessun vuol essere Robin, per la quale ho rischiato la vita. Come mi disse lo psichiatra: una pallottola mi ha sfiorato».
Perché andò dallo psichiatra?
«Per accompagnare un’altra persona. Poi gli raccontai di me, di quel che provavo. I sintomi crescenti».
Quali sintomi?
«La sensazione fisica di avere dentro di me una figura a me estranea. Quasi ogni giorno, sempre più spesso, sentivo un mostro premere contro il petto, salire alla gola. Mi pareva quasi di vederlo. E lo psichiatra me lo fece vedere. L’immagine si trova anche su Internet. “È questo?”, chiese. Era quello».
Com’era fatto?
«Braccia corte e appuntite, gambe ruvide e pelose. La diagnosi era: schizofrenia. Percepita dalla vittima come un’allucinazione che viene dall’interno. Un essere deforme che si aggira nel subconscio come se fosse casa sua».
cremonini canta al matrimonio di uccio
Com’era potuto accadere?
«Venivo da due anni di ossessione feroce per la musica. Sempre chiuso in studio, anche la domenica. Smisi di tagliarmi la barba e i capelli».
È vero che mangiava solo pizze? Due a pranzo e una a cena?
«A volte due pizze pure a cena. Superai i cento chili. Non facevo più l’amore, se non da ubriaco. Avevo smesso qualsiasi attività fisica».
Quale cura ha fatto?
«Lo psichiatra mi chiese cosa mi faceva sentire meglio. Risposi: camminare. Non lavorare; il lavoro era la causa. La cura era camminare».
Ha preso anche farmaci?
«Cose leggere, di cui non parlo per rispetto a chi ha dovuto fare cure farmacologiche pesanti. Ho camminato per centinaia di chilometri. Ho scoperto i sentieri di collina. E mi sono ribellato all’eccesso di attenzione per tutto quel che proviamo, all’idea impossibile di poter esprimere ogni cosa, di comunicare questa slavina di emozioni da cui siamo colpiti».
Così è nata «Nessuno vuol essere Robin».
«L’ho scritta in quattro minuti: “Fammi un’altra domanda, che non riesco a parlare...”. La prima ammissione».
cesare cremonini marinella venegoni
E adesso?
«Quando sento il mostro borbottare, mi rimetto in cammino. Su una collina, in montagna. Sono tornato dallo psichiatra alla fine del primo tour negli stadi. Mi ha chiesto se vedevo ancora i mostri. Gli ho risposto di no, ma che ogni tanto li sento chiacchierare. E lui: “Let them talk”».
Lasciali parlare. Il titolo del suo libro.
«Un’esperienza vissuta e superata».
Come ha passato il lockdown?
«In convalescenza, e in silenzio, dopo l’operazione alle corde vocali. Una cosa non rara per un cantante, ma delicata. Mi ha aiutato molto Eros Ramazzotti, che ci era passato prima di me. Quasi un fratello maggiore».
In amore lei è sempre fuggito; così almeno scrive. Però nel libro ritorna spesso una ragazza, Erica, che deve averla fatta molto soffrire.
«Be’, non è bello quando scopri che la donna che ami, la tua musa, si è messa con uno dei tuoi migliori amici... proprio quello con cui mi confidavo quando lei era partita per New York... Andai a trovarla e scoprii che si era innamorata, ma non di me. Si sono pure sposati. Poi però si sono lasciati».
cremonini
Nelle sue pagine non c’è invece la storia con Malika Ayane.
«È un amore di dieci anni fa. Il nostro incontro fu bellissimo. Ci conoscemmo al Quirinale per un evento in cui dovevamo incontrare Napolitano. Dopo aver omaggiato il presidente sgattaiolammo per i corridoi del Palazzo eludendo la sorveglianza... Per conoscerci meglio, ci nascondemmo dietro a una tenda accanto a una finestra illuminata dal sole di Roma. Ora siamo amici, in ottimi rapporti».
CREMONINI BAGGIO
C’è poi una donna che le fa trovare un post-it sul frigo: «Lasciamo le nostre anime a maggese».
«Sì, quel post-it infreddolito — quando lo presi in mano era ghiacciato — mi ha ispirato una canzone. Il maggese è il terreno tenuto a riposo, perché possa tornare fertile».
Ora è innamorato?
«Sì. E ho capito che gli amori finiti si superano quando non è più necessario dimenticarli, ma vai avanti portando con te il ricordo della persona che hai amato».
Vorrebbe figli?
«Sì, ma non ho fretta. Il segreto della longevità è credere nella longevità. In questo momento la mia preoccupazione è rendere felici le persone che mi sono intorno».
Lei ha parole scettiche per il movimento MeToo.
«È un movimento importante, che mette in evidenza temi largamente condivisibili, e porta messaggi di progresso. Ma, come spesso è accaduto anche alla mia generazione, sembra mancare il tessuto culturale che serve per sostenere i grandi cambiamenti, dove queste idee possono svilupparsi e attecchire. Una rivoluzione ha bisogno anche di una colonna sonora».
CESARE CREMONINI E VALENTINO ROSSI MASCHERATI
Che cosa intende?
«La musica composta dai giovani tratta a volte temi più superficiali di quanto non siano i giovani. A scrivere di valori, di rispetto delle persone, delle donne, delle minoranze, sono più che altro i vecchi babbioni...».
Cosa pensa di X Factor e degli altri talent?
«Li considero un’esperienza più che maturata, più che sfruttata. Hanno creato un segmento di mercato; che è cosa diversa da una scena artistica. Con la pandemia siamo alla fine di un ciclo. Ci sarà un forte ritorno alla territorialità, alle provenienze culturali, alla strada, allo scambio».
CESARE CREMONINI
Lei racconta il suo arrivo allo stadio di San Siro per un concerto: la strana impressione di passare con l’auto tra le persone che stanno andando ad ascoltarla.
«L’arrivo sul palco è un passaggio di grande intensità, che sfiora il terrore. Stai trascinando Diego dentro Maradona. Non hai via di fuga, il pubblico si aspetta da te che sia Maradona. È un processo straordinario, che ricorda le trasformazioni dei supereroi, e che diventa dipendenza. Fino a quando Diego non sale in cielo; mentre Maradona resta con noi».
Nelle sue canzoni affiora più volte la morte.
cremonini mercury
«Me lo fece notare Red Ronnie: “Ma tu che parli di morte, chi ti credi di essere? Sei così giovane. Devi pensare alla vita, no?”. Io gli risposi che solo un idiota non pensa mai alla morte. Mio padre ha avuto un tumore alla vescica, un altro ai polmoni, e un ictus mentre eravamo a cena insieme: lo portai in ospedale, fu operato nella notte, lo salvarono. Nei suoi ultimi giorni mi ha insegnato molto, mi ha mostrato cos’è la dignità: era a pezzi, ma sempre pettinato, le unghie curate. Un ordine mentale».
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Crede nell’aldilà?
«Da ragazzo sentivo di avere una forte convenienza a crederci. Ora sto trasformando la cultura che ho ricevuto, l’idea infantile e fiabesca del Paradiso, in qualcosa di più razionale. Forse possiamo davvero trasformarci, di vita in vita, verso altre esperienze. Prima o poi la fisica quantistica, che è la nuova poesia, ci spiegherà come e dove; e quello sarà il nostro paradiso».
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