Massimo Franco per il “Corriere della Sera”
GIUSEPPE CONTE DOPO L INCONTRO CON MARIO DRAGHI
Si chiedono tutti che cosa succederebbe se i grillini uscissero dal governo. Domanda indicativa. Significa che la mezza tregua abbozzata l'altro ieri a Palazzo Chigi tra Mario Draghi e Giuseppe Conte è avvolta da una nube di precarietà e di incertezza.
La convinzione diffusa è che prima o poi il capo dei Cinque Stelle sarà costretto dalla sua componente più estremista a smarcarsi dalla maggioranza. D'altronde, la lettura che il Movimento dà del colloquio col premier è così discordante da giustificare ogni esito.
grillo draghi conte
Quella che viene descritta come potente voglia di uscire dall'esecutivo, al momento, in realtà, è frenata. La Camera ieri, compresi i Cinque Stelle, ha votato la fiducia al decreto che contiene 23 miliardi di euro a sostegno di imprese e famiglie. Ha pesato il timore di essere additati come guastatori di un governo Draghi considerato l'ultima spiaggia prima che l'Europa chieda il conto del nostro debito pubblico.
giuseppe conte mario draghi
Inoltre, gli esponenti più avvertiti del M5S sanno che una rottura con Palazzo Chigi porterebbe quasi per inerzia alla fine di qualunque simulacro di alleanza col Pd di Enrico Letta; e dunque a una riduzione ulteriore dei seggi a disposizione.
Anche per questo si moltiplicano le scommesse su quanto potrebbe accadere col M5S fuori: in particolare in una Lega sospettata di essere pronta a lasciare il governo, se lo facessero i grillini. Il fatto che il passaggio di parlamentari dei Cinque Stelle nelle file del ministro scissionista Luigi Di Maio potrebbe non essere finito acuisce il nervosismo dei seguaci di Conte. E moltiplica le domande sull'autosufficienza numerica del governo anche senza l'appoggio del M5S.
mario draghi giuseppe conteu
Ieri il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, alla domanda se si potrebbe andare avanti senza il Movimento, ha risposto: «Bisogna chiederlo a Draghi». Ma poi ha aggiunto che i Cinque Stelle potrebbero uscire «esattamente per dei buoni motivi per cui noi restiamo. E viceversa».
Sono variabili che ripropongono la possibilità di un «domino populista» in coda alla legislatura, nella speranza di fermare il calo dei consensi. Le proposte del Pd sullo ius scholae e sulla cannabis sono viste da Matteo Salvini come ottimi spunti per marcare l'identità in Parlamento. Manovre non nuove, e tuttavia sempre scivolose. Contraddicono l'esigenza di avere «un governo nel pieno della sua forza», espressa dal segretario del Pd.
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Eppure, Letta vede i grillini come alleati coi quali continuare a dialogare: come se non volesse credere a un loro strappo nei confronti di Draghi. Chissà, quando il leader dei dem saluta l'uscita di scena del premier inglese Boris Johnson, sostenendo che «termina un'esperienza profondamente populista della quale non abbiamo alcun rimpianto», forse parla anche a Conte, oltre che a Salvini.