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    COSÌ INIZIÒ IL CONTAGIO DELL'OSPEDALE DI ALZANO LOMBARDO, DA CUI È PARTITO IL FOCOLAIO PIÙ LETALE D'EUROPA, CHE A OGGI CONTA 1.895 PAZIENTI E 479 OPERATORI CONTAGIATI - IL PROBLEMA È CHE ARRIVARONO LÌ E NON A CODOGNO LE PRIMI POLMONITI ''STRANE'', MA SOLO DOPO 10 GIORNI, COL ''PAZIENTE 1'' DEL LODIGIANO, SI INIZIARONO A FARE TAMPONI. GLI ERRORI CONTINUANO COL PRONTO SOCCORSO CHIUSO SOLO DUE ORE E CON...


     
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    Marco Imarisio e Simona Ravizza per il “Corriere della Sera

     

    «Come espressamente previsto dalle indicazioni regionali», oppure «concordemente con gli uffici regionali».

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    Il rapporto della direzione dell' Azienda sociosanitaria territoriale di Bergamo Est su quel che è accaduto nei primi giorni dell' epidemia all' ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo è piena di rimandi che suggeriscono una spartizione delle eventuali responsabilità. Ma contiene anche dettagli inediti. Il più importante è la scoperta di un focolaio.

     

    Un focolaio, e non importa se dentro o fuori il nosocomio dal quale è partito il contagio nella provincia di Bergamo, che si è sviluppato ben prima del 23 febbraio, quando furono rivelati due casi di positività, senza che nessuno pensasse di agire. Fino al rimpallo di responsabilità sulla mancata chiusura dell' ospedale.

    Il rapporto è datato 3 aprile. Ne segue un altro, una «relazione temporale sulla prima fase dell' emergenza» che invece è di ieri, 8 aprile. Sono passati 47 giorni, un mese e mezzo, dal primo decesso e dall' inizio della strage in provincia di Bergamo.

     

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    «Nel periodo compreso fra il 13 febbraio e il 22 febbraio sono giunti presso il pronto soccorso dell' ospedale di Alzano alcuni pazienti che venivano successivamente ricoverati presso il reparto di medicina generale con diagnosi di accettazione polmonite/insufficienza respiratoria acuta». Erano anziani con patologie pregresse e invalidanti che «in larga prevalenza» provenivano da Nembro e da comuni limitrofi.

     

    L' azienda ospedaliera giustifica il fatto che non siano stati sottoposti a tampone durante la degenza, perché «nessuno dei pazienti ricoverati in tale periodo presentava le condizioni previste dal ministero della Salute per la definizione di caso sospetto». Nessuno dei pensionati di Nembro, a farla breve, aveva visitato o aveva lavorato al mercato di animali vivi di Wuhan, era stato ricoverato in ospedali con pazienti Covid-19, o era stato a contatto con casi confermati di infezione. «In data 22 febbraio, in seguito all' evidenza del focolaio nel lodigiano, veniva acquisita la consapevolezza da parte dei clinici che tale criterio epidemiologico non era più da ritenersi totalmente attendibile, sebbene ancora non modificato».

     

    Ad Alzano lombardo i primi tamponi vengono fatti nella notte di sabato 22 febbraio. Nei due giorni precedenti, dopo la rivelazione del caso di Codogno, la direzione sanitaria si limita a effettuare uno screening dei pazienti. Fonti interne all' ospedale hanno raccontato di aver segnalato più volte casi sospetti di polmonite interstiziale a partire dal 10 febbraio. La direzione dell' ospedale riconosce che il tempo trascorso tra l' ingresso e la diagnosi è all' origine della propagazione dell' epidemia. «Dal momento del ricovero al momento del sospetto, erano trascorsi alcuni giorni in cui si suppone possa essersi verificata la diffusione del coronavirus all' interno del reparto interessato».

     

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    Ma garantisce che a partire dal 23 febbraio sono state prese tutte le misure necessarie alla tutela di personale sanitario, pazienti e visitatori dell' ospedale. Molti familiari degli anziani deceduti prima e dopo il 23 febbraio raccontano, invece, di aver avuto libero accesso alla salma del defunto e di essersi radunati intorno a lui, vegliando la bara aperta. All' inizio la direzione del Pesenti Fenaroli aveva dato disposizioni per proibire contatti tra vivi e morti. Ma dopo le proteste presso la Regione di alcuni parenti ha fatto marcia indietro. Ancora il 2 marzo «sulla scorta delle richieste pervenute dal territorio», una nota del governo regionale riteneva sufficienti «precauzioni standard».

     

    La circolare della Lombardia che vieta ogni contatto con i defunti di Covid-19 «prima e durante l' attività funebre» arriverà il 12 marzo.

    Tra il 21 e il 25 febbraio, diventa evidente l' esistenza del focolaio di Alzano-Nembro: entrano in pronto soccorso, con patologie riconducibili al Covid-19 e subito positivi al tampone, sei persone provenienti da quei due comuni.

     

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    «Riteniamo possibile, vista la provenienza dei pazienti, residenti in larga prevalenza nel comune di Nembro, che in realtà non ci sia stato all' interno dell' ospedale un paziente indice, ma che la maggior parte di loro presentasse già al momento del ricovero un' infezione in atto da Covid-19 non riconosciuta immediatamente, perché nessuno rispondeva ai criteri epidemiologici previsti». Anche le persone decedute fino a quel momento vengono dalla stessa zona, compresi i tre anziani che vivevano a Villa di Serio, che confina con Alzano e Nembro.

     

     

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    Che il focolaio nasca nell' ospedale, oppure fuori, come sostiene la relazione della Asst di Bergamo Est, ciò che stava accadendo avrebbe dovuto essere chiaro a chiunque fosse stato in possesso di questi dati. Eppure non è stato fatto nulla. Certo, con il senno di poi è tutto più facile. Ma per chiudere l' ospedale di Codogno e isolare la zona ci sono voluti un solo giorno e un solo paziente positivo. In quelle stesse ore, cresceva indisturbato il focolaio-zero, che a breve sarebbe diventato il più letale d' Europa.

     

    Domenica 23 febbraio è il giorno che segna più di ogni altro questa vicenda. Quando arrivano gli esiti dei tamponi, scatta finalmente l' allarme. Viene decisa la chiusura e l' evacuazione del pronto soccorso di Alzano, poi subito revocata. Nella relazione si sostiene che non fosse una vera serrata. «Abbiamo provveduto a concertare i provvedimenti con i competenti uffici regionali. Mentre si valutavano le misure opportune, si contattava telefonicamente la centrale Areu e si concordava di limitare i trasporti presso il Ps di Alzano. Tale "blocco" durava circa due ore. Veniva infine collegialmente deciso, con gli Uffici regionali, di garantire l' operatività del pronto soccorso alla luce della riflessione che l' epidemia si sarebbe manifestata in misura tale da non poter consentire di rinunciare a tale punto assistenziale».

     

    Alzano Lombardo Alzano Lombardo

    Alla centrale Areu, responsabile degli interventi in ambulanza per le provincie di Bergamo, Brescia e Sondrio, risulta invece una comunicazione dal tono più perentorio. Si chiude, a tempo indeterminato. Sul sito della Croce verde appare un messaggio urgente, oggi non più disponibile. «Pronto soccorso di Alzano chiuso e in isolamento. Non recatevi e in caso di bisogno chiamare il 112». L' isolamento invece dura solo due ore. Nonostante la «collegialità», la riapertura risulta una decisione unilaterale della Regione. Ma almeno c' è stata la sanificazione del pronto soccorso?

     

    «Le procedure sono state attuate secondo i protocolli esistenti... appare fuori luogo giudicarli inappropriati in una situazione nella quale non esistono certezze ineccepibili». La sanificazione del pronto soccorso di Codogno è stata affidata a una azienda esterna, ed è durata tre giorni. Quella dell' ospedale di Alzano, appena due ore. Al 3 aprile, sono risultati positivi 1.895 pazienti e 479 operatori.

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