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    COVID 2, LA VENDETTA - UNA DONNA MILANESE DI ORIGINI CINESI GUARITA DAL CORONA, SI È RIAMMALATA: E’ IL PRIMO CASO IN ITALIA DI RITORNO DELLA MALATTIA. ORA E’ RICOVERATA A VERONA – IL MEDICO: “PER QUANTO NE SAPPIAMO SOLO IN CINA SONO STATE DESCRITTE ALCUNE ECCEZIONI SIMILI". MA COME È STATA POSSIBILE LA RICADUTA? LA PRIMA IPOTESI È CHE IL VIRUS APPARTENGA A UN CEPPO VIRALE DIVERSO...


     
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    Natascia Ronchetti per il “Fatto quotidiano”

     

    Ricoverata una prima volta, positiva al Covid-19. Poi dimessa, guarita, dopo l' esecuzione di due tamponi risultati entrambi negativi.

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    Dopo una decina di giorni, la recidiva. Febbre, anche se non elevata, e tosse. E il test che conferma: è nuovamente positiva. "Un caso raro", dice ora Zeno Bisoffi, direttore del dipartimento Malattie Infettive e tropicali dell' Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, in provincia di Verona. "L' unico caso capitato da noi - prosegue Bisoffi -. Per quanto ne sappiamo solo in Cina sono state descritte alcune eccezioni simili".

     

    È in questa struttura sanitaria accreditata dalla Regione Veneto che è tuttora ricoverata una giovane donna milanese, proprio di origini cinesi, che si è ammalata di nuovo dopo essere guarita. Occupa uno dei cento posti letto del reparto Covid dell' ospedale, dei quali 14 in terapia intensiva. Non è mai stata grave, mai nelle condizioni di essere intubata per insufficienza respiratoria. E clinicamente sta meglio, potrebbe essere prossima a essere dimessa un' altra volta se l' esito del nuovo test sarà negativo. Ma il suo caso è il classico rebus.

     

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    "Sono in corso le analisi sul genoma virale, solo quando avremo gli esiti ne sapremo di più", spiega Bisoffi. La donna ha scelto questo ospedale, istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, quando ha manifestato per la prima volta sintomi che erano riconducibili al coronavirus. Tosse, febbre. Seppure in forma lieve. Era il 4 marzo. Entrava al pronto soccorso, le veniva effettuato il tampone che dava esito positivo, scattava il protocollo previsto e veniva ricoverata.

     

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    Una settimana così, nel reparto Covid. Senza che, nel corso dei giorni, le sue condizioni si aggravassero o dessero ulteriori preoccupazioni. Al contrario il suo quadro clinico migliorava. "L' abbiamo dimessa non prima di aver eseguito i due tamponi previsti, che ne hanno confermato la guarigione", ricorda Bisoffi.

     

    Tutto sembrava filare liscio.

     

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    Fino a quando non è di nuovo sopraggiunta una febbriciattola. Ha atteso due giorni poi è tornata al pronto soccorso della clinica veneta.

     

    Era il 23 marzo, erano passati solo dodici giorni dall' ultimo giorno di ricovero. Ed essendo stata dimessa da poco, le veniva nuovamente eseguito il tampone, che risultava positivo. Ma come è stata possibile la ricaduta? Le spiegazioni possono essere tante, come spiega lo stesso Bisoffi.

     

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    "La prima ipotesi - dice -, è che il virus appartenga a un ceppo virale diverso, anche se dobbiamo attendere gli esami sui due genomi: quello del primo ricovero e quello del secondo. È però un' ipotesi che io ritengo improbabile.

     

    Questo virus al momento non sembra soggetto a particolari mutazioni. E considero difficile che una persona guarita, che ha sviluppato gli anticorpi, se esposta a un altro ceppo possa ammalarsi nuovamente. Questo, in assoluto, non vuol dire che non possa essere nuovamente infettata".

     

    Più probabile sembra essere un' altra ipotesi, basata sull' esperienza clinica. È possibile, infatti, che i tamponi eseguiti durante il primo ricovero, prima di dimetterla, non abbiano rilevato la positività perché la donna aveva una carica virale talmente bassa da non essere individuata. "I tamponi - aggiunge Bisoffi -, sono molto sensibili ma non al 100%. Anche per questo, per i casi con un alto sospetto clinico, seppure in presenza di una risposta negativa, per prudenza ripetiamo il test prima indirizzare il paziente eventualmente a un reparto pulito anziché al reparto Covid".

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