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    VAFFANBANKA! - GLI ISTITUTI SI SONO MANGIATI TUTTI I SOLDI PRESTATI DALLA BCE: UN PO’ NEI LORO FORZIERI, UN PO’ PER COMPRARE BTP - IL CREDITO ALL’ECONOMIA VIAGGIA SOTTO ZERO, UN DATO MAI VISTO NELLA STORIA DELLA REPUBBLICA - FMI: “PRENDERE UN PRESTITO COSTA SEMPRE DI PIÙ ED È SEMPRE PIÙ DIFFICILE” - LIBERALIZZARE DIVENTA INUTILE, SE NESSUNO TROVA I SOLDI PER LANCIARE LA SUA NUOVA IMPRESA…


     
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    Federico Fubini per il "Corriere della Sera"

    GIUSEPPE MUSSARIGIUSEPPE MUSSARI

    Se il cavallo ha gambe robuste, allora perché non corre, non trotta e a stento cammina? L'Eba, l'autorità bancaria europea, ha appena stabilito che gli arti sono solidi come da regolamento: le grandi banche italiane (ad eccezione di una, il Monte dei Paschi) ieri hanno superato l'esame dell'istituzione di Londra sulla forza del loro patrimonio. Alcune vanno persino oltre i livelli richiesti. Dunque tutto bene, se non fosse che il credito a imprese e famiglie non fa che diminuire. Ieri anche Mario Monti ha richiamato il problema nel suo messaggio all'Abi, l'Associazione bancaria italiana. «L'accesso al credito è cruciale per la ripresa», ha dichiarato il premier.

    GIUSEPPE MUSSARIGIUSEPPE MUSSARI

    Ma poiché per ora la recessione continua, non sorprende se il termometro dei prestiti segna sempre grande freddo. La caduta dei prestiti all'economia nella prima metà di quest'anno è, secondo la banca Morgan Stanley, «la peggiore negli ultimi trent'anni». L'ultimo Bollettino statistico della Banca d'Italia indica che il volume del credito sta diminuendo di trimestre in trimestre (32 miliardi in meno fra ottobre 2011 e marzo 2012). E il Fondo monetario segnala un calo dello 0,8% fra dicembre e aprile scorsi.

    Teoricamente non sarebbe dovuta andare così. L'inverno scorso gli istituti italiani hanno avuto accesso illimitato ai prestiti della Banca centrale europea e ne hanno prelevati più che i loro concorrenti di qualunque altro Paese, per 270 miliardi di euro. I primi cinque grandi gruppi hanno aumentato la loro base di capitale per 20 miliardi e il valore dei titoli di Stato in cui hanno investito in certi momenti è salito molto. Eppure il credito all'economia viaggia sotto zero, qualcosa di mai visto nella storia della Repubblica.

    CHRISTINE LAGARDECHRISTINE LAGARDE

    Una laureata che vuole fondare una micro impresa o una coppia che cerca un mutuo il più delle volte si imbattono nella stessa risposta: no, se non a caro prezzo. Detto in modo più forbito nell'ultimo rapporto dell'Fmi sull'Italia: «Costi di finanziamento più alti e criteri di credito più restrittivi, specie per le piccole imprese, hanno alzato i tassi sui prestiti»; il risultato è «una contrazione del credito ai privati del 2,75% nel periodo 2012-2013». Morgan Stanley lo definisce «un credit crunch al rallentatore».

    Le banche italiane tendono a rispondere che, semplicemente, sono le persone e le imprese a chiedere meno denaro di prima. Un'occhiata ai dati della Banca d'Italia racconta però anche un'altra storia: il mondo del credito nel Paese porta dentro di sé le cicatrici di due profonde recessioni in cinque anni, cerca di non mostrarle, eppure i danni accumulati fin qui ne paralizzano l'attività e con quella l'intera economia. Anche liberalizzare diventa inutile, se nessuno trova soldi per lanciare la sua nuova impresa in un mercato aperto.

    CORRADO PASSERACORRADO PASSERA

    I finanziamenti «deteriorati» - i prestiti non restituiti, le rate di mutuo in ritardo, gli scoperti scaduti - sono saliti in Italia del 140%: da 87 a 207 miliardi di euro in quattro anni. La massa di credito in situazione traballante rappresentava il 5% del portafoglio totale dei prestiti delle banche all'inizio della grande crisi.

    Adesso sta rapidamente salendo ben oltre il 12%. Con l'inesorabile resa alla recessione delle imprese indebitate - e presto con lo scadere delle moratorie che permettono alle banche di nascondere nuove perdite - il peso dei crediti irrecuperabili è destinato a salire verso 15% entro la fine dell'anno prossimo. Sono livelli elevati, sia per la storia d'Italia che nel confronto internazionale.

    Non è uno scenario a cui gli italiani siano stati preparati. È da quando fallì Lehman Brothers nel 2008 che le banche spiegano che i loro bilanci sono sani perché non hanno mai investito in titoli tossici come è successo in Germania, negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. Ma non aggiungono che ora anche molti dei loro prestiti tradizionali stanno diventando tossici.

    Dal palco dell'Abi del luglio scorso, il governatore Ignazio Visco ha dato un segnale caduto nel silenzio: «Una quota elevata di partite deteriorate nei bilanci pone pressioni sul capitale e sulla liquidità» degli istituti. È stata una frase in un discorso di quindici pagine, ma chi sapeva ha capito: fino a quando le banche non riconosceranno e liquideranno la massa di prestiti andati a male, diventerà impossibile per loro liberare risorse perché il credito riparta davvero.

    MARIO DRAGHIMARIO DRAGHI

    L'associazione di categoria, l'Abi, avrebbe un ruolo di primo piano: nel maggio scorso ha rieletto presidente (all'unanimità) Giuseppe Mussari, per sei anni presidente del Monte dei Paschi. Mps è l'unica banca italiana - una delle sole quattro su settantuno in Europa - a non aver passato ieri l'esame di solidità dell'Eba; quando Mussari è stato rieletto all'Abi a maggio scorso, la banca di Siena era già nel pieno di un'inchiesta giudiziaria, ancora aperta, sull'acquisto di Antonveneta a un prezzo molto elevato.

    L'Abi per adesso tace su questi problemi della categoria. Non altrettanto ha fatto invece il Fondo monetario internazionale nel suo ultimo rapporto sull'Italia in giugno. «I supervisori dovrebbero incoraggiare le banche a sviluppare strategie per vendere ristrutturare o cancellare prestiti in situazione critica, in modo da liberare risorse per nuovi prestiti», hanno scritto i tecnici del Fmi.

    MARIO DRAGHIMARIO DRAGHI

    È un approccio che sorprenderà chi credeva che almeno questi non fossero problemi italiani. Per anni nel Paese si è ripetuto che il debito pubblico era alto, però quello privato era basso e ciò garantiva l'efficienza delle banche. Nel frattempo il debito privato - quello di famiglie, imprese, banche stesse - è cresciuto di circa il 120% del Pil dal 1998 al 2011 (dati di Banca d'Italia). Soprattutto le imprese hanno aumentato molto la loro esposizione negli anni in cui il credito era facile e a buon mercato.

    Adesso molti di quei prestiti che si stanno trasformando in perdite bancarie. E la recessione obbliga gli istituti a scegliere. Possono rinviare il giorno in cui affronteranno la questione, chiudendo i rubinetti all'economia a costo di una lunga stagnazione, in attesa che il tempo cancelli le cicatrici. O possono affrontare le perdite con brutale sincerità, voltar pagina e andare avanti. Un bivio in più che l'Italia avrà di fronte nei prossimi anni.

     

     

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