Estratto dell’articolo di Antonio Polito per “Sette – Corriere della Sera”
mogol
A 88 anni, Mogol ha appena scritto un libro intitolato La Rinascita. È un vademecum di “prevenzione primaria”: insegna a star bene per vivere a lungo, mettendo in armonia corpo, mente e anima. E lui sta bene, infatti. Benissimo. È appena uscito dalla sua ora di palestra mattutina.
«Faccio tre serie da dieci chili per braccio, neanche i miei figli ci riescono. L’unico problema di salute che abbia avuto lo devo proprio a un errore di alimentazione. Dopo la guerra, finite le nostre ristrettezze, mia madre mi diede così tanta carne rossa che mi ha ostruito le arterie. Ma ora ho quattro bypass e sto meglio di prima».
mogol battisti
Son venuto qui nella quiete dell’Umbria, dove Giulio Repetti Mogol ha costruito trent’anni fa il piccolo borgo che ospita la sua scuola per autori e tante altre cose (è anche la tappa d’arrivo del Cammino dei Borghi Silenti), perché nel corso di questa inchiesta sulla morte mi sono più volte imbattuto nei suoi versi. […]
A Roma un’impresa di pompe funebri ha tappezzato le vie consolari di manifesti che pubblicizzano un servizio a basso costo di dispersione in mare delle ceneri con questo slogan: “Un tuffo dove l’acqua è più blu”.
mogol e la moglie daniela gimmelli
E Mogol ha scritto due magnifiche canzoni sulla morte. Una è dedicata alla moglie Daniela Gimmelli, che è qui con noi mentre parliamo, una presenza raggiante come un sole nella sua vita. Si chiama Dormi amore, e il testo racconta di lui che s’immagina come potrà tornare a farle visita una volta che sarà morto: “Come un vento con gli alberi, vedrai/ muoverò/ sfiorerò le ginestre/ giù per mille sentieri/ Dormi amore/ non ti svegliare/ no, non temere/ con altre mani ti accarezzerò”.
mogol con adriano celentano e la madre
L’altra si chiama L’arcobaleno, e ha una strana storia che ha a che fare con l’aldilà. Dice Mogol che due persone, tra di loro sconosciute (una è una medium) gli hanno riferito di aver ricevuto segni inequivocabili da parte dello spirito di Lucio Battisti: chiedeva che l’amico di un tempo scrivesse in sua vece quei versi di addio che lui non aveva avuto il tempo di lasciare.
Così un giorno Gianni Bella, compagno di tante composizioni, è a casa di Mogol al pianoforte e gli fa sentire una melodia appena composta. Giulio sente che quella è l’ispirazione giusta e scrive per conto di Battisti questo saluto: “Io sono sparito poi così d’improvviso/che non ho avuto il tempo di salutare/ istante breve, ancor più breve/ se c’è una luce che trafigge il tuo cuore…. Son diventato, sai, tramonto di sera/ e parlo come le foglie d’aprile/ e vivrò dentro ad ogni voce sincera… Mi manchi tanto amico caro, davvero/ e tante cose son rimaste da dire/ ascolta sempre e solo musica vera/ e cerca sempre se puoi di capire…”.
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Mogol non sta parlando per metafore. Mi garantisce che è tutto vero: «Non rischio l’aldilà per una bugia, sarei un pazzo». È del resto sempre più religioso. Prima della palestra, ogni mattina si reca nella chiesetta in stile romanico che ha fatto costruire nel borgo per pregare la Madonna. […]
Conserva come una reliquia una lettera di papa Francesco, speditagli in ringraziamento per un altro aforisma che gli aveva donato. Forse anche per mezzo della fede, morire non gli sembra una cosa di cui aver paura. «La morte fa parte della vita. Direi anzi che è più difficile nascere che morire. Io sono credente, dunque sono sereno. Ho fiducia che Lui mi accoglierà. Se poi dovrò fare qualche anno di Purgatorio, va bene, lo farò. Ma non è detto, magari Dio è anche più misericordioso di quanto pensiamo…».
mogol
In attesa della salvezza eterna, è intanto molto concentrato sul far del bene. «Se aiuti gli altri la paura della morte sparisce. La nostra missione nella vita è aiutare». Vivono da lui due famiglie di profughi ucraini scappati dalla guerra, e arrivati fino in Umbria tramite un sacerdote che li aveva incontrati mentre fuggivano con i loro bambini. Lavorano ora nell’azienda che Mogol e la moglie gestiscono, e che comprende anche una struttura alberghiera […]
Come si immagina un poeta l’aldilà? «Come un espandersi, una dissolvenza nella natura, un identificarsi in essa. Io rinascerò, cervo a primavera, oppure diverrò gabbiano da scogliera…». Con l’amico Riccardo Cocciante sta realizzando un progetto grandioso, e ancora riservato: un’opera musicale su San Francesco. Nel 2026 saranno 800 anni dalla morte del poverello di Assisi (tra parentesi, saranno anche i 90 di Mogol e gli 80 di Cocciante, si parva licet).
mogol battisti
Così i due maestri si vedono ogni tanto qui a Toscolano e suonano, scrivono, registrano le storie della vita del Santo. Mogol ha un’ammirazione enorme per Cocciante. «Riccardo è un genio della nostra musica. Ma lo sai che la sua Notre-Dame de Paris è lo spettacolo musicale oggi più eseguito nel mondo?».
Gli chiedo chi sono stati gli altri grandi musicisti della sua vita artistica. Luigi Tenco è la prima risposta. «Gli avevo sconsigliato di andare a Sanremo, l’anno in cui si tolse la vita. Viaggiavamo insieme in auto tra Roma e Milano, e ci eravamo fermati a dormire in un motel, dividendo la stanza. Lui aveva appena scritto Ciao, amore, la canzone che poi portò al Festival. Voleva farmela sentire per chiedere un aiuto sul testo. Era perfetta. Gli dissi che andava benissimo così. E aggiunsi: non portarla a Sanremo, questo pezzo dimostra che tu sei su un altro livello».
lucio battisti mogol
Poi Lucio. «Anche lui è morto troppo giovane. Quando è stato ricoverato gli feci recapitare una lettera in ospedale. “Spero che i giornali esagerino sulla gravità delle tue condizioni” – scrivevo – “e comunque chiama…”. So per certo che gli arrivò attraverso un dottore, e che lui si mise a piangere leggendola. È stato il nostro ultimo contatto».
E poi Mango, un altro che non c’è più, «artista di livello mondiale e persona dolcissima. È morto cantando su un palcoscenico, e quando si è sentito male quasi si scusava con il pubblico. Un grande uomo, con lui avrò composto una quindicina di canzoni, capolavori del suo genio musicale. Come Monna Lisa, Mediterraneo, Oro». E infine, ovviamente, Gianni Bella, che considera uno straordinario musicista, purtroppo colpito anni fa da un ictus che gli ha tolto la parola.
mogol lucio battisti
Per uno strano scherzo della genetica, Mogol ha un figlio artista come lui, forse anche più di lui. Pittore affermato e autore: si chiama Alfredo, nome d’arte Cheope, scrive testi di grande successo, quest’anno era a Sanremo con ben tre canzoni, tra cui la sorprendente Mariposa di Fiorella Mannoia. «Insomma, sono un uomo fortunato, vero? Amato e protetto. Perché non riconoscerlo e ringraziarne ogni giorno il Signore?».
[…] Intanto fa “serate”. Gira con un gruppo musicale che suona i suoi “hit” e canta con loro in un karaoke finale che inevitabilmente coinvolge tutto il pubblico: «E col tempo sto diventando anche meno stonato», dice orgoglioso. È uno spettacolo di musica ma soprattutto di parole, di osservazioni come questa: «Vi siete mai chiesti perché una cosa bella è sempre una “figata” mentre una cosa brutta è sempre una “cazzata”? Perché le donne sono meglio, e ormai perfino il linguaggio corrente glielo riconosce». Gira le carceri per fare da giurato in un concorso di poesia per i detenuti, prossime tappe Civitavecchia e Massa Carrara. Ha chiamato questo progetto, che coltivava da anni, Anima forte.
mogol gianni bella
È persino candidato al Nobel per la Letteratura, su iniziativa della Società Dante Alighieri, insieme con la Siae, il ministero della Cultura e il ministero degli Esteri. Il presidente dei vescovi italiani, cardinal Zuppi, è tra i testimonial della candidatura: «Da poeta qual è», ha scritto, «Mogol ci aiuta a esprimere emozioni, pensieri e parole altrimenti sepolte nell’abisso che è il cuore dell’uomo».
Alla fine della nostra mattinata insieme, salutandoci, Daniela mi dà un’idea. Da tempo, come credo molti altri baby boomers nati come me nei ’50, dunque alla soglia o oltre dei settant’anni, discuto con amici e parenti del modo migliore di disporre dei resti mortali, quando sarà il momento. Sepoltura, incinerazione, loculo, cimitero: che fare? Bisogna muoversi per tempo. «Conosco un’architetta di paesaggi, si chiama Consuelo Fabriani, ha realizzato per noi il giardino che ho regalato a Giulio per i suoi ottant’anni e che abbiamo chiamato “I giardini di marzo”» racconta Daniela.
mogol e caterina caselli 1
«Ebbene, lei porta avanti un progetto, Arborvitae: il parco che ancora non c’è destinato a chi non c’è più». È un’idea bellissima, trasforma i cimiteri tradizionali in spazi verdi, in parchi-memorial dedicati alla cremazione, in cui ogni albero ospita sotto le sue radici un’urna con le ceneri di un defunto. «Pensa come sarebbe bello se chi resta potesse andare a trovare e onorare chi se n’è andato sotto un albero…». Io mi prenoto.
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