Luigi Mascheroni per “il Giornale”
roberto farinacci 1940
Eccola l' Italia sognata da Roberto Farinacci: forte, vigorosa, epica, romana. Ministro e gerarca, ras di Cremona, volle nella sua città un fascistissimo concorso pittorico che sostenesse l' arte come celebrazione dei valori e delle imprese del Regime.
E nacque così il «Premio Cremona». Visse solo tre anni, lungo parabola discendente della dittatura: i temi - imposti allo stesso Mussolini - furono nel 1939 «Ascoltando alla radio un discorso del Duce», nel 1940 «La battaglia del grano», nel 1941 «La gioventù del Littorio».
Mentre nel 1942 - ma il premio non ebbe luogo, perché soffocato dal sangue della guerra - avrebbe dovuto essere, malauguratamente profetico, «Dal sangue la nuova Europa». In giuria sedevano Ugo Ojetti, Ardengo Soffici, Arturo Tosi, Giulio Carlo Argan... Quando tutta la nostra migliore intelligenza era fascista.
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Fautore di un' arte popolare, realista e di immediata comprensione, Farinacci mise in piedi un' operazione squisitamente propagandistica (a cui si contrappose negli stessi anni il «Premio Bergamo», più libero e meno ideologico, promosso dal Ministro dell' Educazione Nazionale Giuseppe Bottai).
Fu, in quegli anni, la massima manifestazione del primato della politica sulla cultura e dell' arte come strumento di rappresentazione del Potere. Poi la caduta del Fascismo. Poi l' oblio. Poi la damnatio memoriae.
moroni colonia fluviale
E poi, oggi, paradossalmente nel momento in cui mai sono stati così ripetuti i (falsi) allarmi di rigurgiti fascisti, Cremona recupera orgogliosamente quel pezzo della propria storia, ieri motivo di imbarazzo, ora di studio, e nelle stesse sale di quel museo civico in cui si svolsero la seconda e la terza edizione del concorso ha inaugurato ieri la mostra Il Regime dell' Arte.
leopoldo metlicovitz madama butterfly
Premio Cremona 1939-41 (fino al 24 febbraio). Un' operazione ancora più estrema, sulla carta, della recente infilata di mostre «fascistissime» che ha conquistato il sistema dell' arte italiano: DUX, gli anni del consenso, poi rititolata Novecento, a Forlì; la spettacolare Post Zang Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-43 alla Fondazione Prada di Milano; e il doppio omaggio a Margherita Sarfatti a Milano e Rovereto.
roberto farinacci
Ce ne sarebbe per terrorizzare anche la più tiepida anima antifascista, rianimando la proposta di legge Fiano e aizzando l' iconoclastica Boldrini, soprattutto se si pensa che il titolo della mostra, Il Regime dell' arte, è una diretta citazione da Adolf Hitler. Ma a disinnescare ogni polemica sono, oltre al sindaco piddino che l' ha fortemente voluta, Gianluca Galimberti, i curatori.
Rodolfo Bona, storico dell' arte e esponente del Pd locale oltre che ex vicepresidente dell' Anpi. E Vittorio Sgarbi: ieri il critico l' ha spiegato con foga e con chiarezza: «La politica non c' entra nulla. La distanza storica dal fascismo, 75 anni, ci mette al riparo da ogni rischio. La mostra, filologicamente perfetta, guarda con coraggio e spirito di verità alla Storia. Le opere esposte raccontano quello che fu il fascismo dei nostri padri: senza nostalgia, senza esaltazione».
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La mostra semmai è soprattutto un recupero: quello dello spirito popolare e fideistico del fascismo, senza il quale non si comprenderebbero quegli anni. E un risarcimento: agli artisti dimenticati, a volte ingiustamente.
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Eccoli. Mario Biazzi, Giuseppe Moroni (il suo Colonie fluviali, del 1939, è uno dei pezzi più delicati in mostra), Biagio Mercadante, Remigio Schmitzer, Piero Gaudenzi (c' è il trittico Il grano, che vinse nel 1940, e che da solo riabilita qualitativamente l' intero premio Cremona, e il bellissimo Maternità), Luciano Ricchetti (del suo In ascolto restano solo frammenti, perché l' opera fu smembrata per salvare solo le parti meno compromettenti), Evaristo Zambelli, Renato Santini (Il pane è tutto fuorché «di regime»: nel quadro dominano desolazione e povertà), Mario Beltrami, Domenico Nemo Mori (la sua Battaglia del grano, maschia, nuda, armata, è sì fascistissima)...
sarfatti
La mostra, frutto di una straordinaria operazione investigativa, raccoglie trenta opere, su 60 individuate e catalogate fra le 390 che parteciparono alle tre edizioni del premio. La maggior parte furono nascoste o disperse, molte distrutte o tagliate dopo la guerra per ordine del Cln, alcune finirono ad Hannover, dove sono tutt' ora (la città della Bassa Sassonia era gemellata con Cremona), altre vendute ai privati: per dire, il dipinto Giornata della fede del triestino Leopoldo Metlicovitz è di proprietà di Natalia Aspesi che non l' ha voluto prestare, «Perché è una mostra fascista», sembra abbia detto ai curatori).
frisia, discorso della proclamazione
Ma i pezzi più belli e meglio conservati tra i sopravvissuti (che di fatto nessuno ha mai visto da allora) sono qui. L' onore dell' apertura del percorso - maliziosa nemesi della Storia - è concessa al pittore Innocente Salvini col suo piccolo Balilla (1941). E a dispetto di ogni pretesa finalità propagandistica, quello che vediamo è un ragazzino che fa il saluto romano, sì: ma con brachette, piedi nudi e in un giallo abbagliante. Niente di marziale, tanto di contadino.
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Come nell' Ascoltazione di un discorso del Duce alla radio (1939) di Mario Biazzi. Volti emaciati ci fissano senza espressione attorno a un tavolo vuoto. Che sembrerebbe un magnifico fotogramma di un film d' epoca. Se non fosse per il faccione di Mussolini che fa capolino nell' angolo, lassù a destra.
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